Paura sopra i cieli dell’Iraq
Le zone di conflitto incutono timore: cambiano la geopolitica degli Stati, della terra, dei mari e adesso anche quella dei cieli. E così la Emirates ha scelto di non sorvolare l’instabile Iraq
di Martina Martelloni
Tim Clark ha deciso di applicare la poco diffusa pratica della prevenzione. Il presidente di Emirates, una delle più grandi ed importanti compagnie anche e soprattutto in termini di lusso e goduria del viaggio, ha scelto di evitare temuti pericoli ed ipotetiche ripercussioni che uno dei suoi splendenti aerei potrebbe subire volando nello spazio aereo iracheno.
Missili, attacchi da terra verso le nuvole cercando di colpire qualunque oggetto-soggetto che si trovi in volo. Questo potrebbe accadere in un area così in degenerante caos come l’Iraq di oggi, paese nel quale i sunniti jhihadisti hanno autoproclamato il Califfato islamico.
Clark ha confessato al quotidiano Times di sentirsi poco a suo agio sapendo di possedere aerei che viaggiano su aree di conflitto come l’Iraq. Certo è, che la drammatica vicenda del volo Malaysia Airlines MH17, abbattuto da un missile sopra i cieli dell’est Ucraina in pieno fermento civile, ha aggredito la sensibilità di tutti – in primis quella di chi nel settore aereo e di viaggio ci vive, ci lavora e ci guadagna.
La decisione della Emirates non è una pecora nera nel settore delle compagnie aeree: altre bandiere stanno deviando le loro traiettorie ed altre ancora, come sostiene lo stesso Tim Clark, seguiranno l’esempio della compagnia di Dubai.
Ad oggi nel gruppo dei “dissidenti” vi sono anche la francese Air France, la compagnia KLM e l’inglese Virgin Atlantic – tutte unite dalla comune scelta di evitare il sorvolo dell’Iraq. Su quanto sia realmente riscontrabile la paura di attacchi missilistici, emergono dubbi ed incertezze legate alla mancata certezza di tecnologie in grado di abbattere aerei in volo.
Per tentare di fare chiarezza e dare un senso alle paure emergenti, a guida di un’inchiesta di ricerca, si è fatta avanti la democrazia a stelle e strisce. “Il Pentagono ha ordinato alle forze speciali di confermare o meno se l’Isis sia entrato in possesso di missili terra-aria capaci di colpire un obiettivo a oltre 3.000 metri”, così sottolinea il quotidiano Times in riferimento agli accaduti dell’ex territorio occupato dall’esercito americano.
Nelle viscere irachene il conflitto si rafforza. L’Isis continua a conquistare terreno ponendo fine a qualsiasi tentativo di ordine e stabilità da parte di forze politiche e sociali legalmente riconosicute. La religione è stata bandiera di guerra ed ora diviene motivo di lotta con la distruzione di simboli religiosi in molte città irachene.
Il controllo del paese è nelle mani delle milizie islamiche che avanzano inneggiando a valori di fede radicale, radendo al suolo costruzioni cristiane come il mausoleo di San Giorgio, nella città di Mosul. Cercare una motivazione in gesti così barbari, è cosa complessa e poco razionale, ma a detta di fonti sunnite, la distruzione è giustificata dal modo di costruzione degli stessi monumenti funebri. Se elevati al di sopra del terreno, è doverosa la loro sparizione: questa è la volontà di Maometto. O per lo meno questo è quello che viene detto, diffuso ed elogiato.
Sulla base di questi atti di forza, la Chiesa d’Oriente si è stretta in una morsa di protezione per se stessa e per i suoi fedeli. E così diversi vertici e rappresentanti di fede chiedono unione e resistenza contro chi ne minaccia la sopravvivenza in terre come l’Iraq, ancora troppo ignorate dai media occidentali ma soprattutto dai poteri decisionali internazionali.