La riforma del lavoro torna a scaldare il dibattito politico
Articolo 18 e Jobs Act: queste le richieste dell’Europa per rilanciare l’occupazione e favorire gli investimenti, nel frattempo in parlamento è scontro tra indennizzo e reintegro
di Mattia Bagnato
Nei giorni scorsi sono stati resi noti i risultati del rapporto annuale sull’occupazione elaborati dall’Ocse. Secondo l’Employment outlook 2014, il tasso di disoccupazione in Italia sarà destinato a salire ulteriormente rispetto a quello dello scorso anno, “regalando” al Belpaese un preoccupante quinto posto, superato ormai anche dall’Irlanda.
L’Organizzazione parigina per la cooperazione e lo sviluppo, questa volta, non si sarebbe limitata ad offrire solo una drammatica panoramica sulla situazione occupazionale, si è sentita di rivolgere al nostro paese alcuni “consigli”. Uno su tutti: depotenziare l’articolo 18, sostituendo il reintegro con un indennizzo economico proporzionato all’anzianità di servizio. L’obiettivo di questo “depotenziamento” dovrebbe essere quello di rilanciare l’occupazione. Nel frattempo, però, nel dibattito politico si riaccendono i riflettori su una questione che da anni contrappone coloro che vedono nell’articolo 18 solo un “totem ideologico degli anni 70” a chi, invece, lo ritiene una tutela imprescindibile per i lavoratori.
Ieri – Quando nel 1970 fu introdotto all’interno dello Statuto dei Lavoratori, è stato considerato come una delle più importanti conquiste ottenute dalla classe lavoratrice. Il prodotto di un “autunno caldo”, fatto di lotte operaie che avrebbero riscritto per sempre la storia delle relazioni industriali e dei rapporti lavorativi, come ha avuto modo di affermare Gino Giugni “padre” dello Statuto. Infatti, la ratio che sta dietro all’articolo 18 va ricercata nella necessità di tutelare la dignità del lavoratore, le libertà sindacali e l’attività sindacale nei luoghi di lavoro.
Oggi – Sembra passato un secolo da quando gli operai della Fiat facevano picchetti fuori dai cancelli di Mirafiori. Eppure l’articolo in questione rimane uno dei principali argomenti di dibattito, rilanciato dalla necessità di ridare respiro ad un mercato del lavoro ormai da troppo tempo paralizzato. Proprio su queste premesse, nel 2012, il Governo Monti aveva deciso di riprendere in mano l’articolo 18. Le novità introdotte sarebbero dovute servire a ridare slancio all’occupazione, garantendo quella flessibilità di cui sembra proprio non si possa fare a meno. Diversi criteri di applicazione del diritto del reintegro in base al tipo di licenziamento e quattro nuove tipologie di tutela: piena, attenuata, obbligatoria e obbligatoria ridotta; ma soprattutto, l’introduzione del “giustificato motivo oggettivo“. Una misura che darebbe la possibilità al datore di lavoro di licenziare nel caso in cui “una nuova modalità di produzione, una ristrutturazione o una contrazione del mercato” lo rendessero necessario. Una riformulazione che non è riuscita, però, ad invertire il trend che dal 2012 ad oggi a visto salire la disoccupazione dal 10,8 % al 12,9 % e che ha finito per trasformare la flessibilità in precarietà.
Domani – “Il problema non è l’articolo 18”. Con queste parole Matteo Renzi sembra voler gettare sabbia sulle fiamme di una questione che rischia di diventare un incendio. Sì, perché questa volta a fare pressione non sono solo gli imprenditori e le associazioni di categoria, adesso a chiederlo ci sono anche Bce e Commissione Europea. Ecco allora che la questione si fa più spinosa, tanto da far dire al Presidente del Consiglio che l’obiettivo rimane comunque quello di “riscrivere tutti gli articoli dello Statuto dei Lavoratori”. Così, nella attesa che venga trovata quella soluzione di equilibrio auspicata dal Ministro Poletti, il Governo ha tracciato una road map che dovrebbe portare entro fine mese a riscrivere le regole sulla licenziabilità. Un percorso tutt’altro che privo di ostacoli, proprio perché dovrebbe andare di pari passo con l’approvazione del Jobs Acts, già bloccato ad agosto.
Le proposte – Due le opzioni sul tavolo della Commissione Lavoro del Senato. La prima, proposta da NCD e Scelta Civica, è stata definita “clausola Iachino” e prevede un indennizzo d’importo crescente in base all’anzianità, eliminando così l’obbligo di reintegro. Di contro, il Pd vorrebbe far passare la proposta presentata da Tito Boeri e Pietro Garibaldi: contratto a tutele crescenti con l’applicazione dell’articolo 18 solo a partire dal terzo anno. Un proposta che non piace affatto alla minoranza “democratica”, che attraverso Bersani ha ricordato come: “Il superamento dell’articolo 18 è una ricetta di destra“. Anche il fronte sindacale appare fortemente diviso, da un lato Cisl e Uil che non hanno mai nascosto la loro disponibilità a trattare, dall’altro la Cgil che vorrebbe estendere le tutele previste dall’articolo 18 a tutti i lavoratori.
Alcune considerazioni – Secondo la Cgia di Mestre sarebbero solo il 2,4% le imprese e non più di 3000 i lavoratori interessati, su un totale di 22 milioni di occupati. Una fetta minima della forza lavoro, questo perché ad oggi l’articolo 18 non si applica alle aziende con meno di 15 dipendenti. A questo va aggiunto che l’80% delle cause per licenziamento discriminatorio si conclude prima del giudizio con un indennizzo nei confronti del lavoratore. Con tutta probabilità, quindi, sarà proprio su questi due punti che Matteo Renzi batterà per convincere tutti della necessità di superare l’articolo 18 a favore della c.d. “clausola Iachino“. Eventualità, quest’ultima, che farebbe dell’Italia l’unico paese Ocse a non prevedere questo tipo di tutela, insieme a Danimarca ed Irlanda.
A questo punto due domande nascono spontanee: perché si devono per forza favorire i licenziamenti in un momento in cui il vero problema è la disoccupazione? Non sarebbe meglio optare per una riforma organica del mercato del lavoro che punti ad accrescere le assunzioni? Poi, se si sceglie di introdurre contratti a tutele crescenti solo dopo il terzo anno, non c’è il rischio che le imprese siano incentivate ad offrire contratti a tempo determinato fino ad un massimo di due anni?
(fonte immagine: http://www.ulisseonline.it/)
Una risposta
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