Ahmet Davutoglu, premier all’ombra del sultano
Si apre un nuovo ciclo politico in Turchia. Con il passaggio di Erdogan alla presidenza della Repubblica, il governo sarà guidato da Ahmet Davutoglu, ex ministro degli Esteri e braccio destro del suo predecessore
di Emanuele Martino
“Con l’appoggio che abbiamo ricevuto ci impegniamo davanti al Parlamento e al popolo a lavorare giorno e notte”. Le prime parole del nuovo Primo Ministro turco vengono pronunciate a margine della fiducia incassata dal suo governo il 6 settembre. La Grande Assemblea di Ankara ha votato la fiducia al nuovo esecutivo permettendo all’AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo) di ottenere la maggioranza assoluta con 306 voti a favore e 133 contrari. Immaginare un rinnovamento del processo politico turco risulta difficile: Erdogan non ha nascosto più volte la sua intenzione di continuare a tenere salde le redini non solo del suo partito, ma anche del Parlamento. La Costituzione per ora non gli permette di intervenire, ma la sua modifica in senso presidenzialista rientra già nei compiti del governo.
Il nuovo esecutivo: poche sorprese. La rosa dei ministri non presenta sorprese rispetto al governo Erdogan; l’intenzione di rimanere fedeli al percorso politico del vecchio esecutivo emerge chiaramente nella decisione di non toccare i due ministeri chiave, quello economico e quello delle finanze. Il primo vede la riconferma di Ali Babacani, figura di spicco del governo precedente tanto caro ai mercati e al mondo finanziario, e responsabile della “rational economy” turca (contrapposta alla più strumentalizzata economia anti-imperialista e isolazionista), capace di trainare positivamente il paese, non senza qualche difficoltà. Rimane al suo posto anche Mehmet Simsek, ministro delle Finanze liberale e sostenitore dell’economia globalizzata e degli investimenti esteri. Lasciano invece Besir Atalay, ex vice primo ministro, Hayati Yazici al Commercio, e Avrupa Bakani agli Affari Europei.
Stupisce inoltre la scelta del nuovo ministro degli Esteri: Mevlut Cavusoglu è una figura conosciuta in Europa per aver ricoperto l’incarico di presidente dell’Assemblea Parlamentare in seno al Consiglio Europeo. La decisione di nominare Cavusoglu evidenzia l’intenzione dell’AKP di rimanere in orbita UE e di continuare sulla strada dell’integrazione.
Neo-Ottomanismo, Panislamismo, o semplice pragmatismo? Davutoglu, cresciuto negli ambienti accademici della Marmara University, cominciò a suscitare l’interesse della politica con un suo famoso libro dal titolo “Profondità strategica” nel quale auspicava e prevedeva una rinascita culturale e geopolitica della Turchia degna del suo passato imperiale, grazie anche alla sua posizione strategica. L’opera di Davutoglu viene considerata come la genesi di tutta la politica del governo Erdogan in questo decennio.
Tuttavia in Turchia si è recentemente acceso un dibattito tra studiosi e giornalisti riguardo la vera natura politica del nuovo premier. Secondo diversi analist,i le ambizioni imperialiste di Davutoglu non si esaurirebbero nel concetto di “neo-ottomanismo” ma nella più vasta ideologia del panislamismo. La portata teorica del suo pensiero prenderebbe corpo dall’idea strutturale che la Turchia abbia il dovere storico di ambire a “paese guida” per tutto il Medio Oriente con il consolidamento dell’ideologia sunnita. Sulle pagine del New York Times l’opinionista Behlul Ozkan vede in Davutoglu un fervente sostenitore di un ideale espansionismo culturale turco oltre i propri confini. L’errore concettuale dell’ex Ministro degli Esteri, secondo Ozkan, sta proprio nel fatto di non dare importanza ad un intero secolo di nazionalismo e secolarismo arabo. L’articolo di Ozkan ha suscitato non poche polemiche tra chi considera Davutoglu un nazionalista religioso o un islamico kemalista, e tra chi lo vede semplicemente un realista.
Nondimeno occorre sottolineare che la politica estera turca, da qualsiasi punto la si voglia analizzare, recentemente ha mostrato la corda. La dottrina Davutoglu del “zero problemi con i vicini” non ha sortito gli effetti sperati; le Primavere Arabe hanno rappresentato una valida chance per la Turchia di estendere la sua influenza grazie al forte appoggio ai Fratelli Musulmani. Gli eventi successivi hanno rimescolato le carte e fatto cadere Ankara nell’isolamento regionale. Il governo Erdogan ha mostrato la sua disapprovazione per quasi tutti gli stravolgimenti istituzionali dei maggiori stati coinvolti come Egitto e Siria. Ad oggi la Turchia non ha ambasciate né a Damasco, né a Tel-Aviv e neanche ad Il Cairo.
Le sfide del nuovo governo. L’obiettivo della maggioranza sarà quello di far navigare l’AKP in acque calme fino alle elezioni parlamentari del 2015, che rappresenteranno l’ennesimo giro di boa per Erdogan e soci. Presumibilmente il nuovo esecutivo cercherà di evitare scossoni e mosse politiche azzardate. Tuttavia in un contesto regionale confuso e prevalentemente settario Ankara non può rimanere inerme. L’Iraq e la Siria rimangono i tavoli più caldi della sfida: a Baghdad l’avvicinamento tra Usa ed Iran con l’obiettivo di contenere l’Isis non fa sorridere la Turchia, che vede in Tehran il suo principale avversario in Siria. Ankara, da principale alleato di Assad cambiò drasticamente sponda dopo la vicenda delle armi chimiche, cominciando a sostenere economicamente e militarmente le milizie antigovernative (da cui sarebbe nata la stessa Isis).
Non poche volte Erdogan è stato accusato di mancato controllo sui propri confini, permettendo un facile passaggio dei terroristi dalla Turchia alla Siria. Le recenti evoluzioni, che vedono Assad non solo lontano da una sconfitta ma forse pronto ad un’azione condivisa con gli Usa in funzione anti-Isis, lasciano la Turchia in una posizione di debolezza.
Inoltre Davutoglu ha molto terreno da recuperare anche in virtù della decisione da parte della comunità internazionale di fornire sostegno al PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) per fronteggiare l’Isis; Erdogan da tempo aveva alleggerito la propria posizione verso il movimento armato curdo, ma una possibile legittimità internazionale potrebbe non far piacere ad Ankara, senza contare che il console turco rapito a Mosul con altre 48 persone è ancora ostaggio dell’Isis (altro fallimento di Davutoglu agli Esteri).