Quando un reato non è reato
Il nostro ordinamento soffre di una grave lacuna: l’autoriciclaggio non è previsto come fattispecie di reato. Il “pacchetto giustizia” del governo dovrebbe riempire la falla: ma dietro l’angolo si intravede l’approvazione di una norma “soft”
“Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 1.032 a euro 15.493” così recita l’articolo 648-bis del Codice Penale. Il c.d. “riciclaggio di denaro sporco”, al quale si riferisce il suddetto articolo, consiste nel reinvestire risorse finanziarie di origine illecita nell’economia legale allo scopo di farne perdere le tracce.
È tra i metodi utilizzati dalla criminalità organizzata per dare una parvenza lecita a capitali che leciti non sono, rendendone molto difficile l’identificazione e quindi il recupero. Al momento dell’acquisizione di denaro, attraverso i più diversi business, segue quello della “pulitura”. Questa può avvenire in diversi modi: alcuni istituti finanziari non sono obbligati a rendere nota la provenienza dei capitali in essi depositati, altri per pulire il denaro offrono un servizio di transito attraverso paradisi fiscali, oppure ricorrono a investimenti in società offshore. Altri metodi di “lavaggio” sono l’acquisto di beni immobili ma anche l’elaborazione di intricati sistemi di scommesse a perdita “quasi zero”.
È il reinvestimento di proventi illeciti nel mondo dell’imprenditoria, soprattutto nel commercio al dettaglio, il più pericoloso per il benessere generale: aziende con facilità di reperimento di capitali alterano i meccanismi legati alla concorrenza (anche in condizione di passivo finanziario assicurano prezzi stracciati) e all’occupazione (posti di lavoro più appetibili ma instabili alimentano la disoccupazione ma paradossalmente creano consenso intorno alle organizzazioni mafiose). In pratica il riciclaggio è il “ponte” tra la criminalità e società civile. Si stima che il flusso di denaro sporco superi il 10% del nostro PIL.
“Autoriciclaggio” invece “è la condotta di riciclaggio posta in essere dall’autore, anche in concorso, del reato presupposto. Essa rappresenta, quindi, la condotta tipica non solo di chi, dopo aver compiuto autonomamente il reato presupposto, provvede a sostituire, trasferire od occultarne i proventi per investirli e/o immetterli in attività produttive o finanziarie, senza avvalersi dei servizi di riciclaggio prestati da un soggetto terzo “riciclatore”; ma anche la condotta dello stesso soggetto “riciclatore” il quale, prima di prestare i “servizi” di riciclaggio, apporta un contributo rilevante al compimento del reato presupposto, concorrendo quindi in quest’ultimo con l’autore principale” scrive nella sua relazione del 23 Aprile 2013 la Commissione Greco, dal nome del magistrato alla guida del primo dipartimento della Procura di Milano che si occupa di reati societari e fiscali e a suo tempo membro del pool di Mani Pulite, incaricata di studiare il fenomeno dal Ministero della Giustizia.
In sostanza l’autoriciclaggio consiste nell’occultare i proventi dei propri crimini: si riscontra soprattutto insieme a particolari reati come l’evasione fiscale, la corruzione e l’appropriazione di beni sociali. Tuttavia nel nostro ordinamento tale condotta non è prevista come reato: se qualcuno investe personalmente nell’economia legale allo scopo di occultare i proventi p. es. di un’estorsione, è sì punibile per l’estorsione ma non per il riciclaggio. Sempre nella relazione della Commissione Greco si può leggere: “il riciclaggio è punibile soltanto «fuori dei casi di concorso nel reato» presupposto. Esso non colpisce, quindi, né il riciclaggio compiuto autonomamente dall’autore del reato presupposto, né quello compiuto dal “riciclatore” che concorra anche nel compimento del reato presupposto”.
Il legislatore non prevedendo l’autoriciclaggio come reato ha aderito a quell’orientamento che vuole tale condotta un mero “post-fatto” del reato di riciclaggio, una naturale prosecuzione dello stesso. Per cui nel nostro ordinamento l’autoriciclaggio al momento non è punibile in virtù del principio fondamentale ne bis in idem, che non permette di giudicare qualcuno due volte per lo stesso reato. Tutto ciò ancora prima che criminogeno è un vero e proprio “buco nero” legislativo sul quale tuttavia pare che la politica sia pronta a mettere una pezza. Presto, affinché si possa configurare il reato di riciclaggio, non sarà più necessario che il riciclatore sia un soggetto diverso da colui che ha commesso o ha preso parte al delitto presupposto: come d‘altronde ci chiedono di fare due direttive della Commissione Europea (2005/60/CE, 2006/70 CE), oltre alla “Convenzione penale sulla corruzione”, sottoscritta a Strasburgo il 27 gennaio 1999, ma solamente di recente ratificata dal nostro Paese, con la legge 28 giugno 2012 n.110.
Le proposte della Commissione Greco sono state accolte con soddisfazione, ma poi sostanzialmente ignorate, dal governo Letta. Pare invece che il Presidente del Consiglio Matteo Renzi sia più sensibile all’urgenza della questione – o per lo meno, è quello che si pensava alla notizia del varo del suo “pacchetto giustizia”. Il testo di legge che molto probabilmente passerà è molto più “soft” di quanto ci si potesse aspettare: stabilisce che possa essere accusato di autoriciclaggio solo chi investe soldi provenienti da reati che prevedono una pena massima di almeno cinque anni di reclusione. Di conseguenza non sarebbero punibili i colpevoli di truffa, appropriazione indebita, infedele o omessa dichiarazione dei redditi. Tutti questi reati sono molto diffusi tra i “colletti bianchi”, anche se non necessariamente legati alla criminalità organizzata.