La precarietà del Consiglio Nazionale del Lavoro
Il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro potrebbe chiudere i battenti se il Ddl Boschi diventerà legge. Dal suo ultimo rapporto, una chicca: la mancanza d’investimenti stranieri per l’eccessiva rigidità in materia di licenziamenti è un falso mito
Riforma del Senato e modifica del Titolo V della Costituzione: il Ddl Boschi si accinge a modificare l’assetto costituzionale. Tra i suoi 40 articoli è possibile trovare molte disposizioni che esprimono la “linea” renziana: fine dell’indennità dei senatori, norma anti-peculato, tetto degli stipendi per i consiglieri regionali. Inoltre, se il decreto diventerà legge, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) sarà soppresso tramite l’abrogazione dell’articolo 99 della Costituzione che l’ha istituito.
Prima di chiudere i battenti, l’organo consultivo di Governo, Camere e Regioni ha licenziato un rapporto molto interessante sullo stato dell’occupazione in Italia. La crisi economica cominciata nel 2007 continua, anche se a fasi alterne. Un milione di posti di lavoro sono andati perduti: 400mila nell’edilizia, poco meno nell’industria in senso stretto, si legge nel “Rapporto sul mercato del lavoro 2013-14”. La caduta del PIL al Sud è quasi il doppio di quella registrata nel Centro-Nord.
Stando ai dati, in Italia licenziare un lavoratore assunto a tempo indeterminato è più facile che in Germania. Nonostante l’articolo 18. Da più di un decennio i governi si affannano per eliminare lo spauracchio che intimorisce gli investitori stranieri: mai lettura fu più sbagliata, a meno che l’obiettivo non sia proprio un allentamento della tutela proprio dei lavoratori. Per esempio l’Istituto Bruegel, in un rapporto intitolato “Perché l’Italia non cresce”, ha rilevato ben altri problemi.
Sono i ritardi nell’innovazione e nei processi educativi a determinare l’assenza di crescita e la bassa produttività italiana – dicono dal think tank belga – non tanto l’assenza di concorrenza nel mercato del lavoro e delle merci. Anzi, secondo lo stesso studio pubblicato ai primi di Settembre, il livello di concorrenza nel mercato delle merci e del lavoro italiano non è inferiore a quello tedesco. “L’Italia ha bisogno di investimenti audaci in istruzione e infrastrutture di nuova generazione”, scrivono gli economisti Ashoka Mody ed Emily Riley.
La rigidità della nostra attuale legislazione sui licenziamenti è un falso mito, una leggenda: “nei ranking dell’Ocse il grado di protezione dei rapporti di lavoro in Italia nel 2013 risultava inferiore a quello francese, e prossimo ai livelli riscontrati in Germania e Spagna – si legge nel rapporto del CNEL – il grado di protezione risulta inoltre in discesa di 0,2 punti rispetto al 2008 perché la legge Fornero, come è noto, ha ristretto i casi in cui il lavoratore licenziato senza giusta causa ha diritto a essere reintegrato nel posto di lavoro”.
Il gruppo coordinato dall’ex ministro Treu rileva dati allarmanti anche per quanto riguarda i lavoratori a termine. Il nostro grado di tutela è più alto che in Germania ma inferiore a quello francese, anche se fino al 1998 eravamo alla pari con Parigi. Poi l’approvazione dei pacchetti ideati dallo stesso Treu e da Biagi hanno determinato un’impennata di flessibilità. Solo in Grecia i lavoratori precari sono meno tutelati: ecco il risultato di una liberalizzazione lunga 15 anni.
Il rapporto sottolinea come i costi sociali dell’aggiustamento dei conti pubblici si stanno rivelando molto elevati: tendenza che si concretizza nella perdita del potere d’acquisto dei redditi delle famiglie. Si sta realizzando un irrefrenabile arretramento nella povertà, confermato dal fenomeno dei Working poors. Non è solo la mancanza di un lavoro stabile a determinare un “radicale mutamento dei comportamenti di spesa” ora “anche fra gli occupati sono frequenti i casi di privazione materiale derivanti da condizioni di sottoccupazione o di precarietà del lavoro“.
Se le famiglie si vedono tolta ogni prospettiva, i giovani non se la passano meglio. Tra il 2007 e il 2013 la quota di under 30 sul totale degli occupati è scesa dal 16,6 al 12,3 per cento. Il tasso di occupazione dei giovani risulta sceso dal 39,9 per cento del 2008 al 29,4 per cento del 2013,
Secondo l’Istat, il tasso di disoccupazione dei 15-24enni ad Agosto in Italia è stato del 44,2%, in aumento di un punto percentuale rispetto al mese precedente e di 3,6 punti nei dodici mesi.
“L’ipotesi di una discesa del tasso di disoccupazione ai livelli pre-crisi intorno al 7% – si legge infine nel rapporto – sembra irrealizzabile perché richiederebbe la creazione da qui al 2020 di quasi 2 milioni di posti di lavoro“. “I progressi per il mercato del lavoro italiano – prosegue il CNEL – non potranno che essere molto graduali. Il sistema potrebbe iniziare a beneficiare di un contesto congiunturale meno sfavorevole non prima dell’inizio del 2015“. E sarebbe già “la migliore delle ipotesi“.