La solitudine dei cittadini curdi
Mentre la coalizione internazionale è alla ricerca di un accordo unanime sul nome con cui battezzare l’operazione di attacco all’Isis, le bandiere dei combattenti integralisti sventolano sul territorio a nord della Siria. Il confine con la Turchia è frontiera di guerra
di Martina Martelloni
Aly An Arab, conosciuta ai più col nome di Kobane, è una città siriana situata nel nord del Paese. Kobane è città curda, lo è dal 2012; lo è diventata a seguito dell’esplosione civile contro il regime di Assad, quando gli esponenti del popolo curdo se ne sono appropriati per poi dichiararla, nel 2014, città centro amministrativo del Kurdistan Siriano (autoproclamato e mai riconosciuto).
Negli ultimi giorni Kobane è sotto assedio dell’Isis. Lotta estenuante, ininterrotta, che porta allo stremo delle forze i curdi nella trincea di speranza per la salvezza della loro città. La vicinanza con la Turchia impone l’attenzione mirata del governo Erdogan, il quale considera “ormai persa” la città di Kobane, persa e attanagliata dalle mani dell’Isis.
Un ipotetico intervento turco, a sostegno della popolazione curda, non esclude diverse e complesse condizioni. Recep Tayyp Erdogan persegue la sua linea politica chiedendo garanzia di destituzione del nemico alawita Bashar Al Assad. Gli Stati Uniti, nella loro confusa azione di politica estera, sembrano aver timore di prendere decisioni potenti come quelle che nel loro passato da prima linea, hanno troppe volte aizzato la rabbia e la disapprovazione di molti.
Stavolta però l’escalation di violenza in Iraq e Siria pretende ponderazione e scelta di azione razionalmente accettabile dell’intera comunità internazionale. Questo, perche nel marasma quotidiano vi sono minoranze di popolazioni in pericolo di sopravvivenza, vi sono conflitti religiosi e culturali che diramano su tutto il Medio Oriente e non solo.
Avanzare da terra, un’ipotesi del governo turco in risposta alla vana resistenza dei curdi dell’Ypg (ala militare del Partito Unità Democratica) contro i combattenti islamici del Califfato, un tentativo esposto oramai da diversi giorni dal Parlamento ma che ad ora non prende forma concreta e resta immobile nel fornire aiuti militari ai curdi.
Ancora una volta, la diatriba tra sciismo e sunnismo si pone alla base delle posizioni dei poteri forti e degli Stati limitrofi al fuoco iracheno e siriano. Erdogan, da tempi non sospetti, non ha mai nascosto la sua ostilità nei confronti dell’Islam sciita iraniano e, di riflesso, anche del suo vicino siriano. Il nemico attuale però, è di dichiarata fazione sunnita e una presa di posizione contraria all’Isis potrebbe tradursi in sottomissione alle scelte di Hassn Rouhani.
Mentre nei palazzi ci si riunisce e si gioca a chi lancia per primo la carta vincente, in vari Paesi si sono svolte manifestazioni in segno di solidarietà a Kobane. Proteste dai toni alti, così alti da sfociare in scontri con le forze dell’ordine, hanno attraversato le città della Turchia e le autorità hanno imposto il coprifuoco in sei distretti della regione sud-orientale di Mardin.
La furia dell’Isis incalza anche il mare ed arriva nella Libia del Caos, nella città di Derna i miliziani di Ansar al Sharia hanno sfilato per le vie a bordo di pickup armati e bandiere nere in onore del Califfato.
Sull’agenda internazionale il prossimo confronto teso a capire come e dove continuare la battaglia all’Isis, avrà luogo il prossimo giovedì 8 ottobre. L’ex generale John Allen, inviato speciale di Barack Obama, è atteso proprio in Turchia, eppure le aspettative attuali sono in ombra durante lo scorrere continuo delle ore in Siria perché la guerriglia avanza e neppure i cinque raid della coalizione internazionale sganciati sulla città di Kobane sembrano aver avuto l’esito sperato.
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