“Per Ulisse”, il documentario sugli ultimi Ulisse di Giovanni Cioni
Recentemente in programmazione al Nuovo Cinema Aquila, “Per Ulisse” mostra le storie difficili dentro il centro di recupero Ponterosso di Firenze, costruendo un piccolo poema cinematografico ispirato alla figura di Ulisse e al suo epico viaggio
Miglior lungometraggio all’ultimo Festival dei Popoli e premio ex- aequo con Terra di transito all’ultima edizione di Contest – Il documentario in sala al Nuovo Cinema Aquila di Roma, Per Ulisse è quasi un trattato sulla figura dell’emarginato e sulla sua fuga dalla società, ispirato al personaggio dell’Odissea di Omero. Salutato con grande plauso anche da parte del pubblico, il film travalica il limite tra genere documentario e fiction, sceneggiando le testimonianze reali e dirigendo i personaggi come fossero attori di uno spettacolo indefinito in preparazione. Ma Ponterosso, centro di socializzazione di Firenze dove Per Ulisse è ambientato, è invece una realtà vivissima che accoglie persone provenienti da diversi contesti di disagio sociale: ex-tossicodipendenti, ex-carcerati, persone senza domicilio o con un passato di problemi psichiatrici; anime vestite di diagnosi mediche o anni di recupero per il re-inserimento in società ma che in fondo nascondono storie personali preziose e singolari, come quella di Paolo, l’anticapitalista che buttò dalla finestra il televisore, simbolo dell’alienamento, o Silvia e i suoi pellegrinaggi che inseguivano l’amore, e ancora di Stefano, il padre-orfano di una figlia assente e i trattamenti psichiatrici estremi di Fortunato o Steve.
Signori Nessuno in un non-luogo, lontani da una casa che forse non hanno più, l’Itaca irraggiungibile, questi personaggi agiscono davanti alla telecamera di Cioni prima che come individui, come artisti, liberi dalla propria identità e dal proprio passato: cantanti, musicisti, attori, poeti, narratori che si prestano a una costruzione di un’Odissea moderna immaginaria e concettuale. Le immagini delle interviste o dei momenti rubati alla vita del centro, o alle performance, vengono intervallate da inquadrature sul mare al tramonto e cartelli neri con frasi citate dall’Odissea e non.
L’impatto risulta potente sullo spettatore quando la marginalità umana diventa centro narrativo, in un momento storico in cui l’eccesso dell’informazione, la velocità di aggiornamento e l‘attivismo virtuale fanno presto dimenticare gli eventi più recenti e le storie umane; solo il cinema forse può riuscire a recuperarle, per conservarle dal passato e consegnarle al futuro, nonostante la difficoltà di preservare la fragilità dei volti e dei silenzi senza violarli né contraddirli.
“La telecamera ti ruba l’anima” esclama infatti uno degli ospiti, spaventato dallo sguardo forse troppo pressante di Cioni: il regista sembra a volte dimenticarsi del mezzo cinematografico che sta utilizzando, rischiando, attraverso la morbosità ma anche la casualità di interviste appiccicate posticciamente tra loro, di portare lo spettatore al pietismo.
Ciò nonostante, lo sforzo di Per Ulisse di farsi poema filmico grazie alle suggestioni omeriche e alle interpretazioni dei protagonisti di ruoli altro da sé, riuscendo a sfuggire per un momento alla classica intervista e all’etichettatura dei personaggi in questione, è assolutamente pregevole e porta avanti un’idea di cinema italiano che piacerebbe vedere più spesso.