Il DEF fa tremare la maggioranza
Un Governo a corto di numeri al Senato rischia di inciampare sull’ennesima fiducia, ma viene salvato da un ex grillino
di Mattia Bagnato
Poteva finire davvero male questa volta, gli “sciacalli” o i “gufi”, come preferisce definirli Matteo Renzi, erano lì pronti ad avventarsi sulla carcassa di una maggioranza già ridotta a brandelli. Invece il Governo è riuscito ad attraversare il guado e a far approvare il DEF. Avanti così verrebbe da dire, nient’affatto, perché il voto “thriller” di mercoledì scorso al Senato ha ricordato a tutti, se ce ne fosse ancora bisogno, che i numeri a Palazzo Madama assomigliano sempre di più ad un rebus. Un intricatissimo gioco di strategia, dove i giocatori non hanno uno schieramento preciso e le alleanze si decidono volta per volta. Così, può accadere che tra i 161 voti necessari a salvare il Governo, non uno di più, ci siano anche quelli di un ex grillino: Luis Orellana.
Ottenere la maggioranza al Senato, è un po’ come riuscire ad attraversare indenni un campo minato, bisogna sapere molto bene dove mettere i piedi. Una lezione che hanno dovuto imparare a loro spese quasi tutti gli esecutivi, anche quelli che hanno potuto vantare maggioranze molto più solide dell’attuale, e che si è definitivamente aggravata con l’introduzione del porcellum.
Matteo Renzi, avrebbe fatto bene a tenerlo a mente prima di rottamare “l’amico Letta” senza nessun passaggio parlamentare. Perché 72 di quei 174 voti, senatori a vita esclusi, non erano il risultato di un’ammissione di fedeltà incondizionata, ma piuttosto il prodotto di un melting pot “nostrano”. La storia di sempre insomma, che anche questa volta ha confermato il tetro presagio di una maggioranza costantemente alla ricerca dei numeri necessari.
I conti non tornano – E’ proprio da qui che è iniziata l’avventura del Governo Renzi. Da una manciata di voti apparentemente sufficienti, ma che invece si è rivelata ballerina fin subito. A febbraio, infatti, quando il neo Presidente del Consiglio si è presentato in Senato per ottenerne l’investitura ufficiale, ha dovuto fare i conti con la dura realtà, scoprendo, suo malgrado, che quei 174 voti erano già diventati 169. L’ex sindaco di Firenze non si è scomposto più di tanto, prende e porta a casa, incurante del fatto che di li a poco quei voti sarebbero, ulteriormente, diminuiti. Infatti, come per magia, i 169 voti sono diventati 165 sul Jobs act, 164 sul decreto stadi, 162 sulla legge di stabilità, arrivando in fine a quei “risicatissimi” 161 voti ottenuti mercoledì scorso.
Date a Pierluigi quel che è di Pierluigi – Così non passa giorno che qualcuno non ricordi al Presidente del Consiglio che un partito di Governo deve ascoltare anche le voci fuori dal coro. Il coro di quella stessa minoranza PD che minaccia continuamente di far saltare il banco. Infatti basterebbe che 7/8 senatori “democratici” rimanessero a casa per far crollare tutta l’impalcatura. Per il momento, lo spauracchio delle “epurazioni di massa” sembra aver ricompattato i ranghi, come ha dimostrato il voto sul documento di economia e finanza, ma c’è poco da star sereni, perché nonostante il rientrato pericolo dai banchi della maggioranza Bersani ha voluto ricordare al “compagno” di partito che se si trova lì è, soprattutto, grazie al suo 25%.
Il salvagente pentastellato – Per fortuna l’asse con Forza Italia sembra ancora solido, ma il “ribelle” Fitto sembra seriamente intenzionato a guastare la festa del Governo, mettendone a dura prova la sopravvivenza. Come se non bastasse, poi, ci si sono messe anche le ultime dichiarazioni di Toti: “I numeri sono un problema del Governo, non nostro”. Ecco allora spuntare un nuovo jolly “pentastellato” dal mazzo del Governo. Un salvagente, che potrebbe permettere al Governo di rimanere a galla nell’agitato mare del Senato. Così, il voto di Orellana, arrivato come una manna dal cielo, a questo punto sembra qualcosa di più che casualità. Una strategia, che potrebbe portare i senatori fuoriusciti dal M5S tra le file della maggioranza.
Il fantacalcio dei senatori – Le grandi manovre a cui si sta assistendo da giorni, però, non sembrano essere una prerogativa del Partito Democratico. Anzi, i movimenti di truppe stanno coinvolgendo tutto il Governo. Il primo a lasciare NCD per fare ritorno nel partito del ex Cavaliere era stato Antonio D’ali, ma a breve potrebbero seguirlo anche Azolini e Carini. Un’altra grana per Matteo Renzi, quindi, che si aggiunge a quella, molto di più pericolosa, dei circa 12 senatori PD ritenuti poco affidabili.
Mi fido di te – Eccola, quindi, la chiave di lettura che sta dietro a quello che potrebbe essere definito come: “il vizietto della fiducia“. Una escamotage tutt’altro che nuova, ma che dimostra le preoccupazioni che attanagliano Matteo Renzi. 21 voti di fiducia su 26 votazioni, un vero e proprio “abuso di fiducia”, una media da farebbe impallidire anche lo stesso Berlusconi, che ne aveva fatto il suo cavallo di battaglia. Ma soprattutto, la conferma che il Presidente del Consiglio non si fida più del suo appeal politico.
Matteo Renzi si sta scoprendo sempre più solo nel disperato tentativo di portare avanti il suo progetto riformista, ostaggio di quegli alleati che giorno dopo giorno, votazione dopo votazione, si stanno rivelando stampelle indispensabili per portare a casa quelle riforme tanto auspicate. Adesso, però, che il Patto del Nazareno potrebbe non bastare più, il Governo dovrà, con tutta probabilità, rivedere la vecchia strategia del muro contro muro e tendere la mano a quella minoranza fino ad oggi ignorata. Il valzer del voto di fiducia non è affatto una strategia a lungo termine, soprattutto ora che lo spettro di nuove elezioni sembra più realistico che mai.
(fonte immagine: http://www.ilfattoquotidiano.it)