Il sole nero del Settecento francese. Parigi ricorda il Marchese De Sade
A 200 anni dalla morte il Musée d’Orsay ricorda il Marchese De Sade, autore ed insuperabile filosofo del vizio
Repellente, folle, deviato, amorale, immorale, disgustoso, pornografico, divino, glorioso, sagace, pericoloso, grottesco, ironico.
Il mio primo incontro con De Sade risale alla seconda metà degli anni ’90, sotto forma di una copia de “Le 120 giornate di Sodoma” che leggevo attentamente – e più volte – “sottraendo” tempo allo studio, tanto il fascino delle azioni fuori da ogni norma, da ogni etica e morale, riportate in quelle pagine era forte. Una decina di anni più tardi, ad Edimburgo, ero una delle protagoniste di uno spettacolo teatrale sperimentale e decisamente “off” ispirati agli scritti del “Divin Marchese”.
La mia “liason” con De Sade è lunga, sparsa nel tempo, ma, in un certo senso, costante. Perché, una volta entrati nel suo labirinto fumoso e mortale, non se ne esce tanto facilmente. Donatien Alphonse François De Sade (1740 – 1814) è stato uno dei più interessanti filosofi del Settecento. Ingiustamente bollato come un mero “masturbatore deviato”, creatore delle “120 giornate” che fornirono a Pasolini il materiale per uno dei sui capolavori assoluti, di “Juliette” e “Justine”, della “Filosofia del Boudoir” – tra le opere più famose – il marchese De Sade, re dei libertini e nume tutelare della letteratura romantica che si immerge nell’inchiostro del gotico, che trova in Mirbeau, con il suo “Giardino dei Supplizi” (1899) un degnissimo “erede”, continua ancora a far parlare e, soprattutto, a far pensare.
A questo intelligentissimo poeta e profeta del vizio, il Museé d’Orsay di Parigi dedica una mostra, inaugurata il 14 ottobre (e che chiuderà il 25 gennaio 2015), per celebrarne i 200 anni della morte che cadranno il 2 dicembre. Già il video di presentazione ha fatto saltare sulla sedia più di una persone e si è sussurrato alla scandalo – come volevasi dimostrare.
Curata da Annie Le Brun, studiosa del pensiero e dell’opera sadeiana, insieme a Laurence des Cars, direttore del Musée de l’Orangerie, “Sade. Attaquer le soleil”, esplora l’universo filosofico del marchese, la sua irriverente iconoclastia, il suo immergersi nel e sezionare il vizio, inteso come unica, immarcescibile “virtù”; il vizio come onestà, come paradigma di un’umanità gonfia di orrore, animalesca, brutale e avida, incline ad orrende – eppure schifosamente mesmerizzanti – crapule di sangue, sesso ed escrementi. Ma non è mai una semplice, gratuita dimostrazione di orrori insensati. C’è una profondità “ctonia”, come nota giustamente anche Camille Paglia nel suo “Sexual personae. Arte e decadenza da Nefertiti a Emily Dickinson” (1993).
Scatologico, ma anche escatologico, De Sade è, forse, il primo filosofo del corpo dell’epoca moderna; del corpo inteso come “luogo” dove tutto quanto c’è di più animalescamente umano si esplica, si esprime, in una danza tra intelletto e sesso, tra torture decisamente fantasiose e riflessioni sul rapporto tra Natura come entità universale e natura umana.
Il pensiero sadeiano si snoda attraverso un percorso artistico che comprende opere di Gericault, Goya, Picasso, Ingres, Von Stuck, Rops ed altri artisti, i cui viaggi nella carne, nell’orrore e nell’estremo del vizio più immondo, sono “letture parallele” delle opere del marchese, in un gioco di specchi e rimandi, che si intrecciano e si respingono come i corpi forsennati dei protagonisti degli scritti di De Sade ai quali, sempre a Parigi, viene dedicata una esposizione ospitata dal Musée des Lettres et Manuscrits , già inaugurata e che si concluderà il prossimo 18 gennaio.
De Sade, mostruoso negli scritti ed apertamente depravato nella vita reale – tanto da costargli una serie infinita di guai, processi, imprigionamenti (a Saint Pelagie e alla Bastiglia) – filosofeggia sull’uomo, come un ghignante contraltare di Rousseau. De Sade usa la carne, ne fa una metafora nera, sanguinolenta, a volte sguaiata e volte chirurgica dell’uomo come “animale sociale”, sputa nella bocca aperta di disgusto e stupore del sacro, smembra, quasi con la noia del blasé, la purezza, la religione, l’onestà e ce le consegna su un piatto brulicante dei vermi della lussuria, regalandoci un quadro dell’umano che continua ancora a spaventare e scandalizzare forse perché, in fondo, terribilmente vero.
Una figura non solo letteraria, ma filosofica da riscoprire e da rileggere con più profondità, attenzione e, diciamolo, meno ipocrisia.
“Sade. Attaquer le soleil”
14 ottobre 2014 – 25 gennaio 2015
Musée d’Orsay, Parigi