Equo compenso giornalisti: che succederà il prossimo 28 gennaio?

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Dalla Costituzione alla legge, la questione dell’equo compenso nel settore giornalistico approda al TAR. Il 28 gennaio 2015 sarà discussa la legittimità della delibera che quantifica il corrispettivo per l’informazione

di Martina Zaralli

giornalisi-precari28 gennaio 2015. Una data, questa, che merita un cerchio rosso sul calendario.

Il ricorso promosso davanti al TAR dall’Ordine dei Giornalisti contro la Commissione per la valutazione dell’equo compenso, il Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri stessa,  a quanto pare, sarà discusso ad inizio del prossimo anno.

E nell’attesa? Beh, non è certamente facile fare delle ipotesi su come finirà la questione, sempre se si tratterà di un punto definitivo, ma ripercorrere la storia dell’equo compenso può aiutare a chiarire qualche idea.

Più sintetica di un tweet, la vita dell’equo compenso, nel settore del giornalismo, può essere riassunta in tre passaggi fondamentali: Costituzione, legge, delibera: uno sviluppo, una logica veloce e snella, la quale si inserisce, però, in una situazione editoriale complessa e poco felice.  Partiamo dal principio.

L’articolo 36 della Costituzione prevede che: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro, ed in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

L’equità retributiva, come principio basilare di un ordinamento, viene puntualmente trasposta nella legge233/2012, il cui primo articolo riporta fedelmente le finalità costituzionali, garantendo un corrispettivo qualitativamente e quantitativamente proporzionato, quale contropartita della prestazione giornalistica.

C’è di più, perché con il medesimo testo legislativo viene contestualmente istituito un organismo, dalla durata di tre anni e presieduto dal Sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei ministri con delega per l’informazione, la comunicazione e l’editoria, e che vede tra i suoi componenti rappresentanti del settore, il quale ha  tra i compiti primari quello di definire la dibattuta retribuzione.

Stiamo parlando della Commissione per la valutazione dell’equo compenso nel settore giornalistico, la quale ha un ruolo centrale circa le criticità di un sistema così delineato.

Arriviamo, infatti, allo scorso 19 giugno.

La delibera, tramite la quale la Commissione promuove l’equo compenso, segna l’apice dei malumori dei freelance o, per essere più precisi, “dei titolari di un rapporto di lavoro non subordinato in quotidiani o periodici, anche telematici, nelle agenzie di stampa e nelle emittenti radiotelevisive”, soggetti destinatari della disciplina regolamentata nella legge citata.

giornalismo-inchiestaI motivi di diritto, che sono alla base dell’impugnazione, si muovono due linee interconnesse: violazione dell’articolo 1 della legge 233/2012, nonché violazione dell’art. 12 delle Preleggi.

Questo perché, secondo i ricorrenti, la Commissione individua (richiamando la lg. Biagi e la riforma Fornero) come beneficiari della determinazione dell’equo compenso solo una parte dei lavoratori autonomi, ossia non subordinati, e cioè, nello specifico, tutti coloro che, professionalmente, mostrino un profilo analogo a quello dei lavoratori a progetto, operando, così, un’arbitraria discriminazione.

Altro interessante motivo di doglianza è il contrasto con il dettato costituzionale dell’art. 36, ispiratore della lg. 233/2012 circa la valorizzazione effettiva dell’equità contributiva, così come precedentemente definita.

In termini pratici, ciò dovrebbe comportare l’applicazione immediata di un siffatto principio per tutti i lavoratori non subordinati; contrariamente, invece, la delibera fissa dei parametri tabellari, che quantitativamente e qualitativamente, esulano da questa logica, falsando gli equilibri contrattuali.

È proprio la paura di una possibilità di vessazione da parte degli editori, il sentimento che unifica la protesta nel mondo della comunicazione, prescindendo dall’essere un lavoratore non subordinato.  Preoccupazione che hanno portato, come raccontato in un precedente articolo, a proteste contro lo stesso sindacato di categoria, alimentando il divario tra  chi ha i diritti, e chi, questi diritti, dovrebbe tutelarli.

Sullo sfondo, poi, la situazione circa i finanziamenti all’editoria che non naviga certamente in acque felici; la domanda sorge spontanea: che succederà il prossimo 28 gennaio?  

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