Roma, prima Festa dell’Intercultura a Montagnola
Nel cuore dell’VIII Municipio il mondo dell’associazionismo si incontra in nome del dialogo fra le culture. Annunciata l’apertura di un dopo scuola nel quartiere
Bambini che giocano, donne africane in abiti tradizionali, scout, anziani sulle panchine, passanti incuriositi dall’insolita vivacità della piazza: tanti partecipanti, alla prima Festa dell’Intercultura a Montagnola. Tanti e soprattutto, diversi.
L’iniziativa, che ha avuto luogo domenica 19 ottobre in una calda giornata degna delle migliori ottobrate romane, è stata promossa dal gruppo Scout Agesci del quartiere, il Roma 45, in collaborazione con diverse associazioni del territorio, sotto il patrocinio del Municipio VIII.
L’obiettivo era quello di far incontrare diverse associazioni che, a vario titolo, si occupano di accoglienza e assistenza agli stranieri, in modo da creare nuovi spazi di dialogo interculturale. La festa è stata anche l’occasione per lanciare il nuovo servizio di dopo scuola che i ragazzi più grandi del gruppo scout hanno pensato di attivare per venire incontro alle esigenze di tutte le mamme del quartiere: l’augurio è che diventi uno spazio dove bambini di tutte le origini possano incontrarsi e imparare a crescere insieme, senza pregiudizi.
“Abbiamo osservato il nostro territorio e abbiamo capito che il problema più grande è la mancata integrazione degli immigrati, soprattutto della comunità bengalese, con il resto degli abitanti del quartiere. Così, abbiamo pensato a un momento di incontro fra tutte le realtà presenti sul territorio e alla creazione di un dopo scuola per tutti i bambini del quartiere”, ha dichiarato una ragazza del gruppo scout durante l’intervento di apertura della giornata.
A seguire, l’Assessore alle politiche giovanili dell’VIII Municipio Claudio Marotta ha sottolineato l’importanza che il tema dell’integrazione culturale ricopre a livello europeo e ha ricordato che, proprio nella stessa piazza dove in quel momento ha avuto luogo la festa, nel settembre 1943 alcuni coraggiosi cittadini caddero sotto i colpi dei tedeschi per resistere e per difendere la libertà. Proprio come allora, la piazza è diventata simbolo di una nuova resistenza contro il razzismo e il degrado e secondo Marotta “L’intera comunità che si incontra e fa rete costituisce un argine alla crisi e al declino”. L’assessore ha poi salutato con favore l’apertura del dopo scuola e ha dichiarato che il Municipio si impegnerà a sostenere questo genere di attività.
A seguire, la presentazione di tutte le associazioni partecipanti: 60 Miglia che riunisce ragazzi fra i venti e i trent’anni e che opera, con vari progetti legati all’istruzione e alla salute, a Boric, in Albania; Nessun dorma, attiva nel quartiere di Roma 70 e attenta a tutte le problematiche legate all’accoglienza e all’intercultura; la Comunità di Sant’Egidio, che porta la testimonianza di un giovane rifugiato Afghano che dichiara: “La lingua è importante come un pezzo di pane” perché, proprio grazie alla scuola per stranieri curata dalla Comunità, ha imparato l’italiano e ora lavora come assistente ai disabili nelle scuole ed è diventato mediatore culturale; Figli del mondo fondata nel 2000 da cinque donne peruviane che avviarono il primo dopo scuola per i bambini di mamme immigrate i cui figli non venivano ammessi agli asili e che al momento offre assistenza a tutte le donne immigrate in difficoltà; Circolo Che Guevara, ex sezione del PCI della Montagnola, dal 2006 è impegnata nei confronti dei migranti del quartiere e ha avviato una scuola di italiano per stranieri che conta dal 2011 ad oggi 702 alunni e 88 certificazioni consegnate; Faja Loby, nata nel 2004, fornisce supporto e assistenza agli immigrati, da qualsiasi Paese provengano.
La serata è poi continuata con una tavola rotonda sul tema dell’integrazione culturale, alla quale hanno preso parte i vari rappresentanti delle associazioni presenti.
La discussione è iniziata con il lancio di un paradosso: nel 2013, gli immigrati arrivati nel nostro Paese sono stati 43000 mentre gli italiani in fuga verso l’estero ben 94000. Da cosa nasce allora questa sensazione di “invasione”? I partecipanti hanno risposto che la diffidenza e la paura nascono dalla mancata conoscenza dell’Altro che spesso, a causa delle barriere linguistiche, si rifugia nella propria comunità. Per integrarsi, è essenziale che il migrante sappia la lingua del Paese che lo ospita. Secondo i rappresentati delle associazioni, ci sono tre livelli di integrazione linguistica che andrebbero seguiti e approfonditi: quelli per coloro che sono in Italia e vi lavorano da circa dieci anni; quelli per le donne immigrate che, rimanendo ad occuparsi della casa, hanno meno possibilità di avere contatti con l’esterno; quelli per gli adolescenti, i giovani migranti sui quali bisognerebbe investire di più, futuri cittadini di domani.
La lingua costituisce dunque un fattore chiave per l’integrazione del migrante in quanto gli consente non solo di trovare più facilmente un lavoro ma, soprattutto, di relazionarsi con l’esterno. Prima di parlare d’integrazione, si dovrebbe infatti parlare di interazione, cioè di capacità del migrante e del cittadino italiano di venire in contatto, conoscersi e condividere un qualcosa.
Un ruolo importante, soprattutto per gli immigrati di seconda generazione, è svolto dalla scuola che, tuttavia, non sembra essere pronta, al momento, ad assolvere il compito di favorire l’integrazione dei bimbi stranieri: l’inserimento dei bambini migranti e l’insegnamento dell’italiano in maniera specifica sono spesso lasciati alla capacità e alla sensibilità dei singoli insegnanti.
In questo vuoto, le iniziative dei cittadini e delle associazioni presenti sul territorio costituiscono occasione di conoscenza reciproca preziose: come ha dichiarato una partecipante alla festa:“La paura si combatte con degli spazi”. Spazi di ascolto, di aiuto, di festa. Spazi come un dopo scuola dove tutti i bambini del quartiere potranno incontrarsi e abbattere quelle barriere che spesso, sono solo frutto delle paure dei più grandi.