Teatro, a Roma in scena “Milano non esiste”

Tempo di lettura 5 minuti

Al Teatro de’ Servi la nuova commedia di Roberto D’Alessandro, tratto dall’omonimo romanzo di Dante Maffia. Uno spettacolo sui migranti, sui sacrifici e sui ritorni a casa. Per non dimenticare che ci si può sentire estranei ovunque, anche a casa propria

di Alessia Carlozzo

milanoVivere 40 anni in una città e sentirsi sempre e comunque un estraneo. Quasi un emarginato. E’ quello che accade al protagonista della commedia “Milano non esiste” tratta dal romanzo di Dante Maffia e in scena fino al 2 novembre al Teatro de’ Servi.

Roberto D’Alessandro interpreta un operaio calabrese trapianto nel freddo nord. Una vita fatta di sacrifici, che gli hanno permesso però di crescere cinque figli, molto milanesi, e permettersi il sogno di una vita: costruire una casa nel suo piccolo paese in Calabria con la speranza di trasferirsi non appena arrivata l’agognata pensione. Non da solo ovviamente, ma con moglie (milanese doc ben interpretata da Daniela Stanga) e tutto il resto della squadra.

Da questo desiderio finalmente non più celato, si dipana la commedia che cerca in chiave ironica e a volte eccessivamente caricaturale, di affrontare temi attuali e moderni.

L’eterno dilemma dell’immigrato, perché così si sente ancora il protagonista, incapace di inserirsi nel tessuto sociale della città. La continua sensazione di non essere mai stati del tutto accettati, di vivere questa Milano come un becero antagonista, privo di qualunque emozioni, privo (e qui non possiamo non concordare) di quel mare azzurro che tanto manca e tanto placa la tempesta interiore che il padre di famiglia si trova quotidianamente ad affrontare.

E’ un tema sempre attuale infatti quello dello straniero seppur in terra italiana. L’emozioni raccontate non sono frutto di un semplice romanzo, ma lo specchio di una gamma di sensazioni che ancora oggi accompagnano chiunque si ritrova a lasciare il proprio paese in cerca di fortuna. Quella nostalgia mai colmata, una malinconia che ti travolge e non ti abbandona, che ti porta ad alienarti e a renderti incapace di vivere una nuova realtà.

Ma Milano non ha tutte le colpe. Lo spiega bene il figlio maggiore Rocco, leghista convinto che rinnega le sue origini “terrone” e incolpa il padre di non aver mai tentato un avvicinamento a quella città che gli ha permesso di mangiare e avere un tetto sopra la testa. E’ vero. E’ tutto tremendamente vero. Ma come non si può parteggiare intimamente per quest’uomo grande e grosso, che con un accento inconfondibilmente calabrese ricorda a quello stesso figlio di come sia questa città e la sua società ad etichettarti e non darti la possibilità di staccarti da quella stessa etichetta. Sei e resterai per sempre un diverso ai loro occhi. E non conta che le loro fabbriche per anni sono state mandate avanti soprattutto da tanti che un giorno decisero di lasciare un piccolo paese e prendere un treno in direzione Nord. Per loro, per i cittadini, questo non conta. E’ un marchio stampato in fronte che non ti toglierai mai, spiega il padre.

Così allo scontro con la famiglia, che non desidera altro che restare li sotto la Madonnina dove sente di appartenere, sopraggiunge la rabbia e lo sconforto e infine il viaggio verso casa. Da solo. C’è il mare ora davanti i suoi occhi, l’odore di casa che di pervade e i sapori dell’infanzia. Ma manca sempre qualcosa. Un treno e sei persone che non scendono alla stazione vicino casa. Manca la famiglia.

Il finale che non sveliamo chiude, in modo forse un po’ affrettato, una parabola dei giorni nostri. Chiunque abbia lasciata la propria terra, agogna solo il giorno in cui vi farà ritorno. O almeno così crediamo.

Perché è qui che forse emerge maggiormente la debolezza di questa commedia. Si tende ad esagerare volutamente la dimensione alienante della grande città, quella dove il protagonista non riesce non solo a trovare sé stesso ma soprattutto a provare a trovare un contatto. Non viene analizzato il ritorno a casa, che nelle parole della figlia minore, aspirante velina, non sempre coincide con la terra che il padre aveva lasciato 40 anni fa. Tutto cambia eppure questo cambiamento non si percepisce nelle parole del protagonista.

Così come il suo malessere, portato alle estreme conseguenze e trasformato quasi in una vera e propria ossessione, sembra più un elemento caricaturale e grottesco che altro. Tutto questo dolore interiore viene ricondotto a una mancanza quasi banale del proprio mare, del cibo, delle persone. Tutto rimane a un livello superficiale e non si scende mai davvero in profondità in questa intolleranza verso Milano.

Lei stessa viene sempre e solo descritta come un inferno, ma non comprendiamo le ragioni di un simile odio e intolleranza. Può bastare come spiegazione lo smog? L’edilizia dilagante? La lingua così diversa dalla propria?

Quella che poteva essere una bella riflessione sui sentimenti di un immigrato , seppur sempre in Italia, viene così ridotto in modo semplicistico a un desiderio di ritornare nella propria terra, verso una casa nuova di zecca vista mare. Anche il rapporto con i figli, le cui personalità ben definite potevano essere una buona base per dare vita a riflessioni profonde, viene inevitabilmente trattato solo marginalmente.

“Milano non esiste” rimane quindi una promessa a metà. Da un lato c’è l’indubbia qualità recitativa, dove tra tutti emergono non solo D’Alessandro quanto Domenico Franceschelli nei panni di un figlio fin troppo milanese, leghista e incontenibile nell’umorismo cinico. Interessanti tutti i protagonisti che comprendono anche Riccardo Bergo, Sara Borghi, Annabella Calabrese e Andrea Standardi.

Dall’altro rimane un po’ di amaro in bocca per una storia che, con la giusta ironia e comicità, poteva sicuramente trattare lo spinoso problema dell’immigrazione e soprattutto dell’integrazione, con una maggior analisi. Certamente i tempi teatrali, spietati come pochi, non hanno aiutato ma una maggior cura dei dialoghi e magari un minor desiderio di “caricare” le personalità dei protagonisti avrebbe bilanciato meglio la scena.

La commedia rimane comunque un riuscito esempio di comicità applicata a tematiche serie e impegnate. Consigliato, come sottolinea D’Alessandro, a tutti i calabresi in città o meglio a tutti coloro che si sentono “fuorisede”, “pesci fuor d’acqua” o semplicemente un po’ “terroni” in città a volte fredde e poco ospitali. Per ridere, rivedersi e ricordare. Ma forse anche per cambiare il proprio approccio e il modo di percepire la città che ci ospita.

Milano non esiste
Roma, Teatro de’ Servi
fino al 2 novembre 2014
Biglietti: platea 20€ | galleria 17€

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