Festival Internazionale del Film di Roma: il racconto dell’edizione 2014
Tiriamo le somme della nona kermesse romana, tra dubbi di identità e scarsa qualità del cinema nostrano. Non sono comunque mancate le grandi anteprime che hanno portato all’Auditorium oltre 150mila spettatori, quest’anno anche giurati
Sabato 25 Ottobre si è conclusa la nona edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, una manifestazione che già in partenza si è definita sempre più Festa, ripromettendosi di riconfermare presto questa denominazione definitiva, e che nel corso di questi dieci giorni di programmazione ha tracciato le linee per un futuro sicuramente più consapevole delle proprie scelte e possibilità.
Collocato infatti in un periodo vicinissimo ai due maggiori festival cinematografici italiani, Venezia e Torino, nei suoi nove anni di esistenza la kermesse della Capitale ha sempre sviato l’idea di un’identità ben precisa: cercando di evitare l’impronta troppo autoriale, già portata avanti dal Lido, o la proposta dei nuovi stili contemporanei come a Torino, quella di Roma non si è neanche potuta mai etichettare come selezione puramente popolare, soprattutto grazie alla direzione negli ultimi tre anni di Marco Müller, sempre attentissimo alle frontiere cinematografiche russe, asiatiche e sudamericane, e fautore di grandi anteprime mondiali. Ma per la prossima edizione, la decima, non sono giustificabili più ritardi nella scelta di una direzione programmatica adatta alla location e al periodo in cui il Festival si inserisce.
Quella che si è appena conclusa si è rivelata essere una programmazione ancora troppo schizofrenica, tra commedie italiane, anteprime americane e ancora qualche scorcio sul cinema fuori circuito: così se da una parte hanno illuminato lo schermo titoli come Os Maias del portoghese Joao Botelho, Angels of Revolution di Aleksej Fedorcenko, Lulu del giovane argentino Luis Ortega, Lucifer del belga Gust Van Den Berghe, Phoenix di Christian Petzold o Eden della francese Mia Hansen-Løve, o hanno esaltato pubblico e cinefili Gone girl di David Fincher, As The Gods will di Takeshi Miike ma anche il blockbuster Marvel I Guardiani della Galassia, dall’altra deludono, confermando la scarsa opera di evoluzione, gli italiani come (escludendo l’ottimo esordio Last Summer di Leonardo Guerra Seràgnoli) Buoni a nulla di Gianni Di Gregorio, Biagio di Pasquale Scimeca, Tre tocchi di Marco Risi, I Milionari di Alessandro Piva o i film di apertura e chiusura Soap Opera di Alessandro Genovesi e Andiamo a quel paese di Ficarra e Picone.
Con loro, anche il resto della selezione ha navigato nella mediocrità di un cinema “popolare” che vuole piacere con formule pre-calcolate, richiamando un pubblico più vasto possibile. Non che questo sia uno scopo deprecabile, anzi: secondo le parole del Presidente della Fondazione Cinema per Roma Paolo Ferrari, “il Festival ha accolto oltre 150mila spettatori […] in un momento di difficoltà per il cinema e per la tradizionale fruizione in sala, abbiamo totalizzato oltre 80mila ingressi”.
Si tratta quindi di una partecipazione e di un movimento aggregativo all’interno della città importanti per la Capitale, soprattutto in un periodo di tensione e di crisi come questo che sta attraversando. Anche la decisione di far votare il pubblico si è rivelata infine vincente, considerando un coinvolgimento maggiore dello spettatore non per forza addetto ai lavori e sottolineando però la discrepanza di preferenze e giudizi dalla critica specializzata (gli spettatori hanno premiato il fragile Trash di Stephen Daldry nella sezione principale Cinema d’Oggi).
Tra l’altro non vanno sottovalutate le forze collaborative di un Festival che altrimenti si costruirebbe con la sola gestione della Fondazione Cinema: per esempio la retrospettiva al Maxxi curata da Wired che si è concentrata sulle tendenze italiane dell’immediato presente, quindi le web-series, Gomorra – La serie, i video social, documentari, e una serie di incontri-dibattiti sul videoclip o sul cortometraggio, con ospiti quali Enrico Ghezzi, Wim Wenders, Mario Sesti.
O ancora il lavoro della sezione autonoma Alice nella Città, collaborazioni che riportano l’asse del Festival sulla ricerca e sulla sperimentazione, utili soprattutto al rilancio di un nuovo cinema italiano, di cui i più giovani esempi (come quello di Claudio Di Biagio e Luca Vecchi, registi di Dylan Dog – Vittima degli eventi) sembrano essere stilisticamente molto lontani dai lungometraggi del concorso ufficiale. Se per fortuna o sfortuna sarà il futuro a deciderlo.
Basta quindi decidersi, senza vanificare gli sforzi compiuti dal direttore artistico per elevare una manifestazione a ciò che in fondo non vuole essere: e infatti, dopo le varie indiscrezioni, Marco Müller ha confermato il suo abbandono alla guida del Festival. Un Festival che l’anno prossimo dovrà fare i conti con la pessima organizzazione dell’Auditorium – Parco della Musica, forse non il luogo ideale per una rassegna cinematografica (come ha suggerito anche lo stesso Müller), la completa assenza di giornalisti internazionali e, di nuovo, l’indecisione di fondo sulla scelta strutturale e contenutistica della manifestazione, più semplicemente sulla sua anima.
Che sia Festa, allora (o almeno così ci aspettiamo).
(fonte immagini: facebook.com/romacinemafest)