Dilma bis: “Il Brasile cambierà”
Confermata presidente, Rousseff promette riforme e dialogo con l’opposizione
di Sara Gullace
La riconferma, alla fine, è arrivata al secondo turno. Ma per Dilma Rousseff e per il Partito dei Lavoratori, questa volta, è stata dura. In 12 anni di governo la continuità non era mai stata così in discussione: il 26 ottobre Dilma ha battuto di un soffio Aecio Neves (51,6% contro 48,4%) del Partito Socialdemocratico, al quale non è servito l’appoggio di Marina Silva, candidata outsider del primo turno.
Gli analisti locali hanno ribattezzato la sfida Rousseff – Neves come “sfida di classe”, due modelli opposti di governo. Come i due diversi percorsi, personali e politici, dei loro leader. Dilma, 67 anni, ha uno stile serioso, disciplinato, a volte rigido: poco mediatico ma conciso, tenace. Un carattere forgiato dal suo passato: spesso coinvolta in lotte contro la dittatura, militava nell’estrema sinistra, all’inizio degli anni 70 fu imprigionata dal governo militare per 3 anni e torturata.
Il 54enne Neves, è estroverso, appare sorridente e disponibile, sempre propenso alle telecamere e “vicino” al pubblico. Viene da famiglia ricca già attiva in politica, ha studiato in scuole elitarie che lo hanno formato come economista. La sua gestione come governatore del Minas Geiras gli è stata biglietto da visita per la candidatura a Presidente.
Per il futuro del Brasile, hanno proposto due strade diverse. L’una di continuità con il passato, l’altra di cambio radicale.
Durante la campagna elettorale, Rousseff era stata chiara nel non voler abbandonare la linea politica iniziata da Lula “per non mettere in pericolo i risultati ottenuti: aumento del reddito individuale, bassa disoccupazione, calo della povertà e riduzione della disuguaglianza“. Lo Stato nel suo governo è di nuovo protagonista “come regolatore, nelle politiche economiche, nella politica industriale e come finanziatore per investimenti“.
A chi le rimprovera il blocco della crescita, e tra questi il suo avversario, ha risposto inserendo nel programma “competitività produttiva per aumentare il livelli di produzione del Paese” ed assicurando attenzione per i macro problemi quali fiscalità ed inflazione, semplificando la tassazione e rilanciando le infrastrutture. Senza depotenziare, comunque, i suoi programmi socio-economici che hanno risollevato i brasiliani e le hanno, infine, garantito la riconferma.
Di contro, Neves avrebbe ridotto la presenza dello Stato nell’economia con un maggior coinvolgimento dei privati soprattutto nelle infrastrutture. Il candidato dell’opposizione si era impegnato “a rispettare tre principi della politica economica: autonomia della banca centrale per ridurre l’inflazione, una politica fiscale che generi un avanzo primario del bilancio pubblico e flessibilità del tasso di cambio“. Il sud del Brasile, più ricco e industrializzato, ha scelto di appoggiare il suo liberismo economico, modello troppo distante dalle priorità delle classi più disagiate.
Si riconferma, quindi, la “figlia di Lula”. Ma il lieve margine che l’ha vista prevalere sul suo avversario è sintomo della consapevolezza dell’elettorato che, qualcosa, nel processo di crescita, si è inceppato. La stessa Dilma se ne è resa conto. Ha capito che potrà procedere con la continuità del suo modello solo se sarà accompagnata a importanti cambiamenti.
A vittoria ottenuta, nelle sue prime uscite mediatiche ha parlato di “un cambio per il bene del Paese, che è quello che sta a cuore a tutte le parti“. Ha annunciato accordi con gli avversari e rinnovato l’interesse e l’avvicinamento al settore produttivo. ” E’ il momento di restare uniti per un futuro migliore – ha spiegato – Così come è necessario dialogare con le forze produttive e sociali, incluso il settore finanziario. Dobbiamo costrutire ponti – ha concluso – non cercare differenze tra le parti“.
Confermando la Rousseff, il Brasile, non se l’è sentita di cambiare? Sarebbe più corretto dire che ha scelto di dare fiducia ad un governo che, se in questo momento deve fronteggiare un’economia arenata, negli ultimi dieci anni, grazie alle sue politiche interventiste, ha, come abbiamo visto, tolto dalla fame milioni di brasiliani. Dilma Rousseff ha vinto nel nord-est del Paese; ha vinto nei territori più poveri, convincendo l’elettorato con l’esempio del suo operato passato, con un modello statalista di governo fondato su programmi di aiuto alle fasce più povere e su politiche di redistribuzione del reddito.
Il sostegno dello Stato del primo governo Rousseff, sulla scia di quello di Lula, ha fatto promesse che poi ha mantenuto – a ciò è valsa la fiducia per i prossimi 4 anni di governo.
I brasiliani confermano di approvare il programma sociale della Presidente, ma forti sono i dubbi sulla sua visione economica. Le ansie potrebbero dissiparsi con la nomina del Ministro dell’Economia, promessa da Rousseff per il mese di novembre. Per la sostituzione di Mandega, si profilano Trabuco, presidente della banca Bradesco, Meirelles, ex presidente della Centrale e Barbosa, già esecutivo dell’attuale Ministero.