Il profilo social della Privacy: “accetti” le condizioni?

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Dalla “Carta dei diritti in Internet” a “Ello”, il social anti Facebook, la protezione dei dati si conferma uno dei problemi più sentiti nel mondo della Rete

di Martina Zaralli

Ammettilo. Neanche tu le hai lette.

Lunghe e scritte in piccolo, le condizioni che chiamiamo informativa sulla privacy, e che dovrebbero tutelare quella che chiamiamo riservatezza, risvegliano in noi il lato più pigro.
E così, testardi nel non voler arrenderci al fatto che anche la realtà virtuale ha le sue regole, spuntiamo la casella “accetto”, non sapendo, effettivamente, a cosa stiamo acconsentendo.

La forza dell’interazione rappresenta, oggi, la risposta più evidente al perché della popolarità di un social network. Interattività come indice di un nuovo trend di comunicazione, sempre più al centro di dibattiti italiani ed europei per le insidie che in essa si celano.

Secondo la risoluzione sulla tutela della privacy nei servizi di social network della Trentesima Conferenza Internazionale delle Autorità di protezione dei dati, “c’è il rischio di perdere il controllo dell’utilizzo dei propri dati una volta pubblicati in rete. Il fatto che si tratti di servizi operanti attraverso una comunità di utenti può far pensare che la situazione non sia molto diversa dal condividere informazioni con un gruppo di amici nel mondo reale; in realtà, le informazioni contenute nel proprio profilo possono raggiungere l’intera comunità degli abbonati al servizio”.

Il pericolo, quindi, sta proprio nella impossibilità  di gestire, effettivamente ed efficacemente, i propri dati. La risoluzione prosegue con una serie di raccomandazioni, indirizzate sia all’utente che al fornitore di servizi,  incentrate sulla tutela  della riservatezza.

Agire nell’interesse delle persone che utilizzano il servizio, rispettare gli standard in materia privacy, fornire informazioni trasparenti e corrette circa il trattamento dei dati, impostazioni di default che garantiscano la riservatezza, potenziamento della sicurezza sono i principali punti della deontologia del   fornitore di servizi.

Etica, questa, che dovrebbe correre anche lungo il binario dell’utenza. Ci sono però dei problemi, su due livelli, che riguardano non solo il rapporto tra singolo e gestore del sito, ma anche tra utenti. Una valutazione attenta su cosa pubblicare potrebbe essere già un buon punto di partenza  per l’autotutela della privacy. Ma possiamo affermare di essere sempre così accorti? No.

privacy tastieraPer non parlare della pratica spasmodica e seriale dei like. Non molto tempo fa su Ghigliottina.it abbiamo parlato in un altro articolo di pubblicità comportamentale, nuova frontiera dell’advertising basata su attività di tracciamento della navigazione: certo, il pollice all’insù di per sé non indica altro che un gusto, una preferenza, e questo non è un dato sensibile, ma è intuitivo concludere che il confine della riservatezza è facilmente, ed anche tendenziosamente, oltrepassabile.

L’affermazione di una comunità virtuale ha condotto alla Carta dei Diritti in Internet, fortemente voluta dalla presidente della Camera Laura Boldrini.  Sebbene sia ancora allo stato di bozza, perno dell’interno sistema è il principio di non discriminazione modellato sul criterio della riservatezza: l’assenza di differenziazione dell’utente in base al contenuto dei  dati scambiati, infatti, è mainstream essenziale della tanta invocata neutralità delle Rete (net netraulity).

Se da un lato nascono piattaforme diametralmente opposte al colosso dei social, come ELLO, che incentra la sua politica su privacy ed assenza di pubblicità dalla sue pagine, dall’altro, proprio Mister Facebook, Mark Zuckerberg, ha recentemente dichiarato di volere mettere a disposizione dell’Internet Security Prize 2015, una corposa ricompensa come premio per  il miglior progetto per rendere il web più sicuro.

Che sia consapevolezza della socialità virtuale di essere sempre più nel mirino della tutela dei dati? Che sia solo l’ennesima  trovata di marketing? Al momento non possiamo saperlo.

Nell’evoluzione social del Grande Fratello orwelliano, in attesa di tempi migliori, si dovrebbe usare un’importante connessione: quella del buon senso.

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