La necessaria trasparenza
Vent’anni di tentativi e cinquanta proposte di legge ma neanche una sul rapporto tra lobby e politica. Questa volta però il Senato sembra seriamente intenzionato a portare a termine il proprio compito. Sarà davvero questa la volta buona?
di Andrea Rosiello
La storia – Era il 1976 quando, per la prima volta in Italia grazie alla proposta di legge “riconoscimento delle attività professionali di relazioni pubbliche” dell’onorevole Sanese della DC, si iniziò a parlare del rapporto tra aziende e politica. Fino ad allora nessuno aveva mai presentato un progetto di legge su questo tipo di relazione.
Per iniziare a parlare di lobby e relazioni istituzionali bisogna però aspettare l’onorevole Perboni della Lega e il suo progetto di legge “Norme per il riconoscimento delle attività professionali di relazioni pubbliche”. La proposta di legge, come quelle che l’hanno proceduta, è rimasta tale e non è stata mai esaminata e approvata.
Era il 1995 e da allora ad oggi sono passati quasi vent’anni e circa cinquanta proposte di legge di tutti i possibili colori politici, compresa un’iniziativa governativa.
Neanche una legge è stata mai approvata dal Parlamento sulla regolamentazione delle relazioni istituzionali, a dispetto di quanto fatto dalle Regioni, dove la regolamentazione è abbastanza diffusa.
Poche settimane fa la Commissione Affari costituzionali del Senato ha iniziato a esaminare ben otto proposte sulla rappresentanza di interessi, provenienti sia da maggioranza che dall’opposizione.
Tuttavia l‘esame, tra provvedimenti più importanti e pause varie, sta procedendo molto lentamente. Da luglio, prima seduta d’esame dei provvedimenti sul lobbying, la Commissione Affari costituzionali ha svolto in totale quattro sedute, una a luglio, due a settembre e una a novembre.
Un ritardo inspiegabile – Ma perché tutta questa lentezza nell’esaminare un tema così importante? A cosa è dovuto questo vuoto normativo che colloca l’Italia indietro di anni, se non decenni, rispetto a numerosi paesi dell’Europa e del mondo?
Non esiste una risposta razionale, probabilmente si è trattato di scarso interesse verso un tema importante per molti cittadini: sapere perché vengono fatte certe scelte da chi crea le leggi.
Lobbying? Sì grazie – Eppure il lobbying o, più genericamente, la rappresentanza lecita di interessi, è una attività legale che ogni gruppo o individuo può esercitare nei confronti del decisore pubblico e che avviene in tutto il mondo. Non c’è niente di male quindi nel presentare le proprie istanze a chi deve decidere su una specifica attività economica e/o sociale.
Una risposta? Solo se la domanda è posta nel modo giusto – Entrando nello specifico, come andrebbero regolati quindi i rapporti tra lobby e politica? Su cosa è utile puntare la lente d’ingrandimento e cosa può essere tralasciato?
La risposta non è semplice ma, sicuramente, andrebbe chiarito anzitutto chi “sussurra alle orecchie dei potenti”, chi incontra parlamentari, membri dell’esecutivo e, in generale, funzionari pubblici su un determinato provvedimento. Andrebbero poi rese trasparenti le argomentazioni utilizzate per avvalorare le posizioni e le tesi, almeno sui provvedimenti più importanti come, ad esempio, i decreti legge. Infine andrebbe chiarito se esistono dei rapporti economici diretti tra influenzante e influenzato come ad esempio regali o finanziamenti.
L’obiettivo finale dovrebbe essere quello di rendere trasparenti le influenze lecite sia sui provvedimenti che sui soggetti pubblici. Allo stesso tempo dovrebbe essere garantito ai lobbisti di essere riconosciuti come professionisti rispettabili e non di passare per faccendieri, in modo tale che essi possano beneficiare, a loro volta, della trasparenza tanto invocata per svolgere meglio il loro lavoro.
Ne gioverebbe sopratutto la politica, che potrebbe guadagnare un po’ di credibilità verso i cittadini ormai sfiduciati dai partiti.
(fonte immagine: http://thirdforcenews.org.uk/)