Renzi e il sogno americano
La comunicazione politica del leader democratico, unitamente all’organizzazione ed agli orientamenti emersi in questi ultimi mesi, lasciano ormai pochi dubbi su quale sia il Pd del futuro immaginato da Renzi: un partito democratico sul modello americano, una sinistra italiana “laburista” che tagli i ponti col passato e la falce e martello
di Marco Assab
Continua a circolare con insistenza sui media e tra l’opinione pubblica un quesito ancora irrisolto: ma Renzi è veramente di sinistra? Una volta per tutte cerchiamo di rispondere a questa domanda, pur consapevoli del fatto che mai si riuscirà a metter d’accordo tutti su questo tema alquanto pungente. La domanda si è riproposta con insistenza nei giorni scorsi, a seguito della oramai celebre “cena di autofinanziamento”, dove il leader democratico ha accolto al suo tavolo commensali illustri, tra i quali anche il presidente della Roma James Pallotta, alla modica cifra di 1000 euro a coperto. La storia della sinistra italiana è piena di iniziative volte all’autofinanziamento, ma la discrepanza tra le colorite feste dell’Unità, le braciole arrostite dai militanti sul barbecue, e l’eleganza della cena renziana, è piuttosto evidente, ed è forse questo a fare storcere il naso ai duri e puri della vecchia sinistra.
Ebbene chiariamo subito un punto: se proprio si vuole criticare lo “stile” va bene, anche se chi scrive non capisce per quale motivo una cosa “di sinistra” debba per forza essere una cosa “spartana”, tipo braciola e barbecue, e non una cena in giacca e cravatta. Ma se invece si critica il metodo, cioè 1000 euro a coperto per finanziare il Partito, allora la domanda che si pone è: se l’opinione pubblica ha chiesto a gran voce l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti perché, ora, si scandalizza per una cena di gala volta a finanziare le casse del Pd? Oltretutto è stato proprio Matteo Renzi, nel Giugno del 2014, a ripristinare la “Festa dell’Unità” che precedentemente, dal 2009, era stata rinominata “Festa democratica”! Insomma una iniziativa non esclude l’altra.
Eppure però questa trovata deve far riflettere sul nuovo stile, sul nuovo modello organizzativo che Matteo Renzi propone per il suo partito. Per chi non lo avesse ancora capito, l’idea di sinistra che ha il segretario del Pd è quella della sinistra angloamericana. Prima ancora di Obama c’è un altro modello al quale forse Renzi potrebbe essere accostato: avete presente Tony Blair e il Partito Laburista Britannico? Obama e Blair sono, nei loro rispettivi paesi, uomini di sinistra. Certo si può discutere sul fatto che in Inghilterra Blair è stato visto come uno che si è discostato dai principi storici del Labour Party, tra i quali il forte interventismo statale nell’economia, ma il mondo è cambiato, l’economia ha subito profondi mutamenti, e più avanti argomenteremo anche di questo.
A questo punto la domanda è: che cos’è la sinistra? La risposta non può essere univoca. Ogni Paese, con la sua cultura, storia, economia, ha elaborato nel corso dei decenni idee diverse con le quali identificare il concetto di “sinistra”. Si va dunque dai paesi del “socialismo reale” (Urss e blocco orientale) a quei paesi capitalisti dove si è sviluppata una forma di socialdemocrazia tesa a difendere importanti principi economici del sistema liberale, unitamente però allo sforzo di correggere alcune sue storture: le diseguale distribuzione della ricchezza, gli squilibri sociali, la mancanza di pari opportunità nell’accesso ai servizi quali scuola e sanità, etc. Insomma una sinistra moderata, riformista, che non discute i principi del sistema capitalistico ma lavora per correggerne gli errori. Questo tipo di socialdemocrazia dunque dialoga ed è aperta anche al confronto con la classe imprenditoriale, che non considera un “avversario”, ma un “alleato” nella ricerca di soluzioni che incoraggino lo sviluppo economico e la creazione di posti di lavoro. Questo è il tipo di sinistra che sembra si possa scorgere nell’operato di Renzi.
Il problema però è che questa impostazione risulta del tutto incompatibile, almeno per il momento, con la storia della sinistra Italiana. Nel nostro Paese, dal dopoguerra in poi, il Partito Comunista Italiano, seppur abbandonando ogni proposito rivoluzionario, violento, e di fatto inserendosi nell’agone politico utilizzando le armi del riformismo, è sempre stato un partito d’opposizione, di “lotta”. Un Partito “di piazza” che ha sfilato per anni nei cortei insieme ai sindacati ed ai lavoratori. Questa impostazione, in quel periodo storico, aveva un senso. Era un mondo diverso, la società era davvero divisa in due classi: borghesia e proletariato. Essere di sinistra nel XX° secolo doveva per forza significare non scendere a patti con il grande capitale, anzi, lottare per riuscire a conquistare terreno sul campo dei diritti. Il PCI non fu mai partito di governo, ma rappresentò sempre l’opposizione alla Democrazia Cristiana. Per questo motivo, nella cultura della sinistra italiana, si è radicato quell’idem sentire politico per cui essere di sinistra significa solo protestare, scendere in piazza, opporre un secco NO ad ogni iniziativa di governo.
Ma cari amici, è innegabile che il mondo di oggi sia diverso da quello di 30-40 anni fa… la società e l’economia sono cambiate. L’assetto politico italiano è anch’esso radicalmente mutato. Che cos’è oggi il proletariato e che cosa la borghesia? Due concetti totalmente evanescenti, che si mescolano, dando forma ad un popolo in difficoltà che si compone di storie simili ma estrazioni sociali differenti. Gli imprenditori che si suicidano per colpa di una crisi nera, senza fine, sono ancora i nemici da abbattere? Sono ancora loro i “padroni” contro cui marciare? O non sono forse anche loro vittime alle quali offrire sostegno, incoraggiandone le attività, così che il loro operato possa portare frutti buoni quali, ad esempio, nuovi posti di lavoro? Chi cerca di creare lavoro oggi in Italia? Forse Susanna Camusso sbraitando da un microfono che l’articolo 18 non si tocca? O Matteo Renzi che tenta di dialogare con gli imprenditori, concedendo loro aperture, a patto che essi si impegnino ad assumere i giovani? Dunque chi è più di sinistra, la Camusso o Renzi? La risposta la lasciamo al lettore.
Il punto è questo: la sinistra oggi è forza di governo, e l’impostazione piazzaiola e contestatrice mal si concilia con questo nuovo ruolo. Renzi lo sa, e sta cercando di modellare un Pd capace di dialogare con tutte le forze sociali, quelle del lavoro e quelle del capitale. Tale distinzione è superata: per creare posti di lavoro è necessaria una sinergia tra chi investe e chi lavora. Lo Stato non può creare posti di lavoro, cosa fatta per decenni che ha causato gravissimi dissesti finanziari, utilizzando le casse dello stato come ammortizzatori sociali! Basta. I posti di lavoro si creano investendo ed incentivando la libera iniziativa economica dei cittadini, e se per fare questo bisogna dialogare con la Confindustria bene, che si faccia.
C’è un nuovo proletariato che si staglia con drammaticità nella società di oggi: i disoccupati. Essere davvero di sinistra oggi, a parere di chi scrive, significa creare con urgenza posti di lavoro. Non importa come, con quali mezzi, con quali alleati, ma va creato lavoro! E per creare lavoro non serve scendere in piazza e sventolare bandiere rosse, bisogna trovare le soluzioni dialogando con tutti, anche con la grande finanza ed il grande capitale. Renzi sta facendo questo, addossandosi tutte le critiche di questo mondo da chi ancora, con la mente, è rimasto ai tempi dell’Internazionale socialista e dell’”Avanti popolo alla riscossa”.
Per cui alla domanda se Renzi sia davvero o no di sinistra la risposta potrebbe essere: lo è nella misura in cui, pur attraverso mezzi differenti rispetto al passato, riuscirà a perseguire obiettivi fin qui sempre sfuggiti: lavoro, ripresa economica, lotta alla burocrazia, agli sprechi, istruzione, legalità, sanità. Vogliamo essere sinceri con il lettore: a noi quella sinistra del NO ad oltranza non piace più, è anacronistica, paralizzante. Se la nuova cultura di “sinistra” che propone Renzi, affine alla socialdemocrazia ed al laburismo, è quella di una sinistra che offre una visione di governo, che sa decidere, che sa fare, che si pone in dialogo con tutti, che avanza riforme economiche sul modello angloamericano, allora staremo ad osservare con grande interesse, sicuri che in Inghilterra stanno benissimo anche senza art. 18, cancellato da 40 anni, con un tasso di disoccupazione al 6%, ossia meno della metà del nostro.
Concludiamo con una riflessione piuttosto amara. Le mancanze della politica negli ultimi due decenni sono state molte, le risposte alle difficoltà del nostro Paese quasi nulle. Tra i cittadini serpeggia oramai un radicato senso di insoddisfazione, delusione, rabbia, esasperazione. Dispiace solamente notare come nei riguardi di Renzi si stia scatenando una opposizione selvaggia (composta da attori diversi che vanno dal M5S alla Cgil) che non ci sembra di ricordare nemmeno nei peggiori anni del berlusconismo (colpa prevalentemente della sinistra di allora). Non è Renzi il responsabile del 12% di disoccupazione, del precariato, della distruzione del nostro sistema sanitario e scolastico; non è Renzi il rappresentante della vecchia politica contro la quale il M5S ha condotto finora (e con piena ragione) una lotta senza quartiere.
Non è Renzi “l’assassino” del mondo del lavoro perché propone una riforma, il Jobs Act, che tra le tante innovazioni presenta anche l’abolizione (peraltro non totale) dell’articolo 18. E va bene, diciamo che non è di sinistra, che è il “nuovo Berlusconi”, che è amico dei “poteri forti” (non abbiamo ancora capito chi siano questi loschi figuri), ma riconosciamogli almeno un pizzico di coraggio, e l’ambizione di voler cambiare questo Paese non per tornaconto personale (non ha un impero economico da difendere…), ma per evidente spirito di passione politica. Almeno questo possiamo riconoscerglielo? O è proprio un demonio questo Renzi?
(fonte immagine: http://www.brunozzi.it)