Tennis: “Djoko, partita, incontro”. Il Maestro è ancora Nole
Il campione serbo conquista per la quarta volta il Masters di fine stagione e chiuderà il 2014 da numero 1 del ranking mondiale. Trionfo netto, nonostante il ritiro di Federer prima della finale
Così vicino il Big Ben lì qualche miglio a ovest, rassicurante guardiano della City of Westminster, tradizionale eppure sempre moderno simbolo della riconosciuta “Grande Mela” del Vecchio Continente. Così lontane le atmosfere ovattate, quasi eteree, ostentatamente total-white addicted e profumate di erba tagliata di fresco e fragole con panna, delle giornate di fine giugno sui Campi Elisi del prestigiosissimo All England Lawn Tennis and Croquet Club.
Il termometro dell’immensità spaziale e culturale di una metropoli come Londra si misura anche da qui, dai 23 chilometri che dividono la storica Church Road dalla moderna North Greenwich. I 126 giorni suonano come quattro secoli tra l’epilogo dello Slam estivo e vintage di Wimbledon e l’ultimo miglio del Masters di fine stagione nella cornice ultra tecnologica della modernissima O2 Arena. Distanze del corpo e del tempo azzerate con un colpo di racchetta magica dal Maestro dei Maestri, il fenomeno capace di far scintillare il proprio gioco tanto nel cuore della Classic quanto in quello della Contemporary London. Padrone sull’erba, sovrano del veloce, dominatore del ranking mondiale nell’anno solare 2014. Fuori dal campo, neo sposo di Jelena e fresco papà di Stefan. Semplicemente, Novak Djokovic. E gli altri che mangino brioche (o, vista la nostra location di riferimento, al massimo fish and chips)
AUDACES FORTUNA IUVAT – Innegabile che l’epilogo del torneo, inaspettato e senza precedenti in un’occasione così importante – mai era saltata una finale Slam o Masters nell’Era Open – lasci aperti alcuni interrogativi. Vero, Nole ha sollevato il trofeo di Maestro del 2014 senza neppure disputare la finale contro lo storico pupillo dei sudditi di Sua Maestà (in parte anche più del cocco di casa Andy Murray), quel Roger Federer tornato a ruggire da vero leone – e da numero 2 del mondo – dato troppo spesso buono solo per qualche parco zoo di periferia. Sarebbe stata sicuramente una finale magistrale, un gustoso remake indoor dell’epico atto conclusivo dell’ultimo Wimbledon. Ma al netto dei problemi alla schiena accusati dalla leggenda svizzera dopo la tiratissima semifinale contro Stanislas Wawrinka, del suo storico Walkover – appena il terzo in carriera – e delle illazioni sul presunto ritiro tattico in ottica weekend della finale di Davis – unico trofeo ancora mai sollevato da Re Roger in carriera, domenica c’è Svizzera-Francia – , il cammino di Djokovic nella settimana londinese ha trovato un compimento finale semplicemente e ampiamente meritato. Sospinto dal successo a Parigi-Bercy e sigillato dalla netta vittoria contro Berdych già nel round robin, il nulla osta della matematica al mantenimento della prima posizione nel Ranking ATP a conclusione di quest’annata agonistica. Qualora persistano ulteriori dubbi, scorrere il numero dei game totali lasciati agli avversari nel girone (rispettivamente 4 a Wawrinka, 3 a Berdych e 2 a Cilic) aiuta a comprendere non solo numericamente la potenza di fuoco espressa del serbo. E in questo senso può essere quantificato come un esiguo incidente di percorso, il set (6-3) concesso a Nishikori in semifinale: il set d’avvio (6-1) e quello di ripristino della gerarchia rispetto al rampante nipponico (6-0) sono pure dimostrazioni empiriche della sovrannaturale capacità di reazione da sempre insista nel DNA del campione di Belgrado.
TERNO, QUATERNA, TOMBOLA – Dal coup de théâtre di Federer al Medical Extended Timeout di Rafa Nadal, convalescente dalla fresca appendicectomia di inizio novembre, Djokovic non ha concesso nulla al caso. Coniugando la proverbiale spietatezza agli involontari “assist” offerti dalle condizioni fisiche dei rivali di sempre, è arrivato così il terzo successo consecutivo alle Finals, come Nastase – tra il 1971 e il 1973 – e Lendl – Maestro tra il 1985 e l’87, anno di nascita di Nole – il quarto totale dopo l’acuto 2008. Negli ultimi 6 anni, quelli delle Finals made in U.K., il bottino se lo sono spartito (quasi) esclusivamente Roger e Nole, con la doppietta svizzera 2010-2011 a precedere il terno secco sulla ruota di Belgrado. Un altro motivo di rimpianto per l’esito a tavolino nella settimana del red carpet londinese.
APPLAUSI PER (LA) FIBRA – Tra sliding doors e universi paralleli senza passare dal via, la menzione d’onore non può ovviamente mancare per tutti i maestri qualificati al Closing Act del circuito maschile. Tutt’al più che, dopo anni di “presenzialismo da top player”, la Race stagionale ha offerto parecchi volti nuovi al casting di fine stagione: ben 3 i debutti assoluti alle Finals, con Cilic, Raonic e Nishikori a sostituire gli esodati 2013 Del Potro, Gasquet e Ferrer – quest’ultimo convocato a Londra come riserva e in campo nel match contro Nishikori per l’infortunio di Raonic. Nel gran ballo dei debuttanti, è stato proprio il nipponico, reduce da un ottimo 2014 – finale Slam ovviamente compresa – a confermarsi nel modo migliore. Non solo il set strappato a Djokovic in semifinale, ma anche la netta affermazione contro Murray (doppio 6-4) e il successo, più faticoso nel risultato che nella prestazione, contro Ferrer (4-6 6-4 6-1). Malino invece sia il canadese prima dell’infortunio – k.o. senza troppi rimpianti contro Federer e Murray – che il croato a tempo piano – un set strappato a Wawrinka, ma soprattutto il doppio 6-1 subito da “Sua Furia” Djokovic.
QUALCOSA È CAMBIATO – Tempi duri e poco onore nella menzione invece per il beniamino di casa Andy Murray, che non sembra ancora trarre giovamento dal cambio di coach e dai primi mesi di cura Mauresmo. I titoli a Shenzhen, Valencia e Vienna (i primi due in finale contro Robredo, in Austria con Ferrer) sono quasi un palliativo per il vincitore di Wimbledon 2013, condizionato a lungo da problemi alla schiena e tormentato dai dubbi su allenatori e futuro. L’emblema del Murray Moment sono i 56 minuti impiegati da Federer per spazzarlo via 6-0 6-1 nel girone, tra i sussulti dei fan inglesi che, peraltro, non sembrano avergli ancora perdonato l’outing a favore del referendum per l’indipendenza scozzese di un paio di mesi fa. Time will be your best master, Andy.