India, quando un parto conduce a un decesso
Nei campi di sterilizzazione si contano nuove vittime: aperta un’inchiesta, tre arresti fino ad ora
di Sara Gullace
Emerge alla luce del sole il dramma delle sterilizzazione in India. Dopo che 15 donne, in seguito ad ore di agonia, hanno perso la vita nei giorni scorsi e altre 60 sono ancora ricoverate in gravi condizioni, torna ad essere messo sotto accusa il sistema di controllo delle nascite promosso e sostenuto dal governo e dal ministero della Sanità.
Il secondo fine settimana di novembre si è tinto di nero, nello stato indiano del Chhattisgarh: a Bilaspur, in due distinti campi di sterilizzazione, oltre cento giovani donne – età massima 32 anni – si sono sottoposte ad intervento di sterilizzazione. Per 18 euro, hanno rinunciato alla loro fertilità. Quindici di loro, come abbiamo visto, hanno trovato la morte; diverse decine, lottano per sopravvivere.
A seguito dei primi decessi, il governo centrale ha immediatamente aperto un’inchiesta i cui risultati, fino a questo momento, hanno incriminato tre persone tra cui il Dottor Gupta, che proprio quest’anno aveva festeggiato con tanto di encomio le sue 50 mila operazioni. Aiutato da due assistenti, sabato 8 novembre ha realizzato ottanta operazioni in cinque ore – contravvenendo la norma delle trenta giornaliere. Sterilizzazioni effettuate a ritmi pressanti con strumenti non sterilizzati e, addirittura, ossidati: primo viatico di setticemia e infezioni mortali. “Io sono solo un medico: se non operavamo secondo certi ritmi – ha assicurato il chirurgo – subivamo pressioni da parte dell’amministrazione“.
In carcere anche i due proprietari di una compagnia farmaceutica, Ramesh Mahawar e figlio: gli antibiotici da loro venduti per il post-trattamento (Ciprocin 500), secondo le analisi preliminari contenevano fosfuro di zinco – ovvero veleno per topi. “Non abbiamo mai venduto al governo ma solo a diversi commercianti, senza alcuna problematica“, è stata la loro prima difesa.
“Una sfortunata tragedia” secondo il Primo Ministro Modi; una tragica ma prevedibile conseguenza, invece, per l’opposizione – il Partito del Congresso, che ha chiesto le dimissioni del Premier insieme a quelle del ministro della Sanità, Amar Agarwal. Quest’ultimo ha preso addirittura le distanze dagli avvenimenti, commentando con un improbabile “Le disgrazie sono cose che capitano nel settore sanitario“. Un’uscita che ha suscitato la protesta di un’opinione pubblica già indignata e che, sospinta dall’opposizione, è scesa nelle piazze di Bilaspur al grido “Assassini“.
Sotto accusa il governo che, per rallentare e controllare le nascite (l’India è il secondo Paese al mondo per popolazione, prima è la Cina) sostiene la pratica della sterilizzazione ormai da decenni e con diversi metodi.
In primo luogo, le donne che vi si sottopongono vengono ricompensate: in denaro, ma anche con beni di consumo come televisioni, lavatrici, motociclette o addirittura cibo – beni che possono essere un lusso tra gli strati più poveri della popolazione. Ricompensati sono anche gli operatori sanitari che convincono le donne e le loro famiglie – o i lavoratori che dimostrino di rimanere fedeli alla politica del “one is good” (del figlio unico).
Tragedie come questa di inizio novembre, non sono nuove: nel Gennaio 2012, infatti, tre medici sono stati arrestati per avere superato il numero consentito di interventi – ne realizzarono 53. In campi open. Senza anestesia. Anche all’epoca, si parlò di “negligenza medica”, puntando il dito su nominativi ben definiti. Ma il sistema è rimasto malato: strutture fatiscenti ed insalubri, ritmi di intervento quasi da fabbrica di montaggio, strumentazioni inadeguate e insufficienti. Come inadeguati si sono rivelati i mezzi di soccorso: i medici di Nuova Deli hanno dovuto dare supporto a Bilaspur e trasferire le pazienti più gravi.
L’opinione pubblica disapprova tali sistemi di controllo della natalità che risalgono agli anni settanta, quando erano obbligatori durante il governo d’emergenza di Gandhi. Con punte di otto milioni di sterilizzazioni all’anno, fu una delle cause che fece perdere credibilità al governo. In seguito, questo tipo di controllo è diventato “volontario” ma, come abbiamo visto, fortemente sostenuto attraverso politiche di premio-restrizione che, su una fascia di popolazione in difficoltà, finiscono per essere coercitive.