“A bocca chiusa” di Stefano Bonazzi
Esordio geniale ed inaspettato di Stefano Bonazzi, in libreria con “A bocca chiusa”, thriller dal forte sapore psicologico
“A volte facciamo cose estreme, pensiamo così di guadagnare la libertà che ci spetta di diritto in quanto esseri umani.
Pensiamo di liberarci dalle nostre gabbie (…) E non ci rendiamo conto che, in realtà, stiamo soltanto correndo verso gabbie ancora più grandi, più robuste”.
Definire thriller un romanzo come quello di Stefano Bonazzi, A bocca chiusa, sembra quantomeno riduttivo, e forse lo si deduce anche dal passo sopra citato. All’interno di questo caleidoscopio di personaggi e umori, troviamo, è vero, un omicidio, troviamo anche un cadavere, ma prima c’è molto altro.
Avvolto dall’afa stringente di un’estate che sembra non terminare più, un bambino di dieci anni, undici a gennaio, viene quotidianamente accompagnato dalla madre parrucchiera dentro una tana che sa poco di rifugio, quella stessa tana in cui si è rinchiuso, da tempo ormai, suo nonno.
Prima che la scuola ricominci, il protagonista, bambino gracile ed apparentemente indifeso, la cui età anagrafica certamente – e lo si capisce a mano a mano che si procede con la lettura – è di gran lunga inferiore alla effettiva maturità cerebrale, che non gli permette di vivere banalmente, come tutti i coetanei, lasciandosi trascinare dagli eventi e dal sole di agosto, viene affidato alle cure dei nonni materni.
Lui e sua madre hanno come unici punti di riferimento i due vecchi genitori di lei: una nonna premurosa, attenta, che ogni sabato va a fare la spesa e viene accompagnata dal nipote, che attende una settimana intera prima che arrivi quella mattina, pregustando colori, profumi e forme diverse. Ed un nonno. Il nonno. Il nonno travestito da orco. O forse l’orco travestito da nonno. E ad ogni modo, qui, di orchi ce ne sono parecchi.
Ex camionista sessantenne, costretto a casa da malesseri fisici che non gli consentono più di lavorare, questo vecchio incattivito dalla vita, ossessionato dal sospetto che la gente voglia ingannarlo, derubarlo dei propri risparmi, riversa tutto il dolore sul nipote inerme, chiudendolo in casa e impedendogli di vivere l’esistenza di un quasi adolescente, in compagnia degli altri giovani amici.
La madre, figura amaramente presente nella sua ingombrante assenza, è una donna sola, fragile, in balìa della cruda realtà, abbandonata da un marito che apparirà solo all’inizio del romanzo, nel ricordo del bambino, e che poi continuerà a vegetare nel limbo della memoria. Unico elemento che riesce a donare luce ed entusiasmo alla donna, e poi anche al bambino e al romanzo tutto, è la macchina fotografica.
Appassionata di fotografia, la mamma, truccata di un tenace sorriso e di una malleabile forza d’animo, trasmetterà questa passione al giovane figlio, presentandoglielo come mezzo ultimo per salvare il salvabile, la vita che scorre e sfugge di mano.
Ed infine c’è Luca, il “tremendamente bello” Luca, l’oggetto della discordia, il personaggio che viaggia su una bicicletta che conduce verso la libertà, il giovane abbronzato e desiderato che riveste il ruolo di migliore amico, di migliore inganno, di migliore preda e vittima al tempo stesso.
Intriso di una certa – quasi romantica oserei dire – suspense, il romanzo di Stefano Bonazzi colpisce per due motivi: la complessità e l’estrema semplicità. I personaggi sono tutti disposti di fronte al lettore: nessuna trappola, nessun cedimento, tutto è chiaro fin dal principio. Un protagonista, un antagonista, una periferia assolata, campi aridi, capannoni industriali e un’estate complice.
Peccato, o per fortuna, che questa semplicità si riveli solo apparente: il romanzo, accompagnato da uno stile tutto nuovo, che vuole essere familiare ma è arricchito e nobilitato da frequenti descrizioni e metafore di grande pregnanza contenutistica, è in realtà la drammatica storia di un disagio globale, collettivo ma individuale, in cui gli elementi si mescolano come tasselli di un puzzle senza bussola, in cui il Bene assume le parvenze del Male e il Male indugia tra i propositi del Bene.
È un testo atroce e dolcemente subdolo, che nasconde tra le righe della violenza la tenerezza della vita stessa, colta negli occhi di un’umanità incattivita dalle proprie paure, carnefice e al contempo vittima delle proprie azioni.
La parte finale di A bocca chiusa ha qualcosa di sorprendente: un guizzo di genialità nel cambio di stile e di registro, donano un tocco innovativo ad un testo che non cede mai alle lusinghe di un genere, seppur nobile, come quello del thriller. C’è qualcosa di più, qualcosa che va oltre, qualcosa che sconfina nel dramma psicologico, qualcosa che si avvinghia alla pelle, lacerandola a colpi di assordante silenzio.
Vi lascerete trasportare dalle visioni oniriche e collose di un ragazzo alla ricerca di sé, vi abbandonerete alla terrificante realtà dei fatti e vi chiederete, certamente, se sarà possibile, un giorno, dimenticare anche il dolore più profondo.
A bocca chiusa
Stefano Bonazzi
Newton Compton, 2014
pp. 287