PD e sindacati: chi è di sinistra scagli la prima pietra
Dopo mesi di scontri e contestazione, alla fine la riforma del lavoro è diventata una questione ideologica. Una scontro senza esclusioni di colpi per conquistarsi la paternità della sinistra italiana
La riforma del mercato del lavoro assomiglia sempre di più ad un incontro pugilistico tra pesi piuma. Così, se all’angolo destro del ring c’è Matteo Renzi, in quello sinistro, invece, il segretario della Fiom Maurizio Landini. Guardia alta e una serie interminabile di ganci ai fianchi per stremare l’avversario. Sembrano finiti, infatti, i tempi in cui i due “acerrimi nemici” poteva gonfiare il petto spavaldamente, forti della loro aurea di condottieri invincibili. Le continue contestazioni e la scarsa affluenza alle urne, così come il crollo delle iscrizioni al sindacato metalmeccanico, sono il sintomo inequivocabile che qualcosa è cambiato. “Un esame del sangue”, ecco in cosa si è trasformato lo scontro tra Governo e Sindacati. Un test del DNA, che dovrebbe accertare chi è il “padre putativo” della sinistra italiana.
Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra – Cantava così Giorgio Gaber in una delle sue canzoni più famose. Oggi il dibattito su cosa sia di sinistra e cosa invece sia di destra sembra concentrarsi tutto lì, su quella riforma del mercato del lavoro tanto necessaria quanto criticata dal mondo sindacale e non solo. In quel Jumpstart Our Business Startups Act, appunto, ideato da Obama e che dovrebbe rilanciare l’occupazione giovanile e favorire la tanto auspicata flessibilità. Allora, a questo punto, la domanda nasce spontanea: sono più di sinistra i sindacati che si barricano dietro l’art. 18, ritenuto l’unico vero baluardo a difesa dei lavoratori, o è più di sinistra Matteo Renzi che si propone come un Don Chisciotte tutto preso a lottare contro i mulini a vento del corporativismo sindacale? La risposta, come spesso accade, sembra stare proprio nel mezzo.
Landini l’onesto – Landini non ha dubbi: se in Italia esiste ancora una sinistra, lui e i suoi metalmeccanici ne sono sicuramente i più autorevoli rappresentati. Glielo si legge negli occhi prima ancora che nelle parole. Lui che è nato professionalmente nelle assemblee di fabbrica, quelle di una volta però, quelle che si facevano nelle mense con i sindacalisti in piedi sui tavoli. Così, quando accusa Renzi di non rappresentare gli onesti ma i poteri forti, pecca di quella ingenuità tipica di chi non è abituato a preoccuparsi del politically correct. Altro che i suoi colleghi, tutti impegnati a dare un colpo al cerchio e uno alla botte, attenti a non provocare l’ira del potente di turno. Certo, i tesseramenti alla Fiom sono in calo, Landini lo sa bene, e da qui a dire che scendere in piazza è un ottima campagna abbonamenti la strada è breve. Resta il fatto però, che Maurizio “Che” Landini era lì a prendere manganellate.
Battere il ferro finché è caldo – Mai proverbio fu più profetico per la Cgil di Susanna Camusso. Infatti, il più grande e vecchio sindacato italiano sembra essersi accorto solo ora che i suoi iscritti sono minacciati dalle politiche neo-liberiste chieste a gran voce dall’Europa. Dov’era Susanna quando il Governo Monti approvava la riforma Fornero? Evidentemente quella riforma non richiedeva una mobilitazione di piazza. Quella stessa piazza che il segretario della Cgil non perde occasione di “sventolare” al cielo come una bandiera rossa, sì, ma di un rosso sbiadito che “puzza” tanto di opportunismo. Affermare, infatti, che non esiste una sinistra che elimina l’articolo 18, ormai già ridotto all’osso, può lavare la coscienza, ma di certo non significa battersi per i diritti di milioni di lavoratori.
Forte con i deboli e debole con i forti – Se non sono di sinistra i sindacati di oggi, lo è ancora meno l’atteggiamento del Presidente del Consiglio e la sua riforma del lavoro. Infatti, come fa notare il segretario UIL Carmelo Barbagallo, che sembra aver risvegliato il “suo” sindacato da un lungo letargo, “il Jobs act è troppo inglese, circolazione a sinistra ma guida a destra”. Un considerazione questa, che non dispiacerà a Matteo Renzi. Il presidente-segretario, infatti, non smette di ripetere che il suo mentore è proprio quel Tony Blair che ha saputo scompaginare l’antica tradizione laburista nata proprio dai sindacati. Così, per quanto si possa discutere, gli unici ad aver accolto con giubilo la riforma sono proprio Confindustria, attraverso il suo Presidente, e le più importanti banche d’affari. Royal Bank of Scotland, Credit Suisse e Goldman Sachs, infatti, sono tutto fuor che i deboli a cui si riferisce Matteo Renzi.
Uno per tutti e tutti contro uno – Piangere lacrime amare per un accanimento senza precedenti sembra essere diventato lo sport più praticato a Palazzo Chigi, riportando alla mente il leitmotiv di un “vecchio cavaliere” ormai caduto in disgrazia. Non passa giorno, infatti, che Matteo Renzi non ricordi a tutti di essere diventato il bersaglio politico di una contestazione che non ha motivo di esistere perché, mentre gli altri scioperano, lui crea posti di lavoro. Peccato, però, che ad oggi gli scioperi siano diminuiti rispetto al passato, sintomo di un mondo sindacale che sembra aver abbandonato il suo strumento di lotta per eccellenza. Per quanto riguarda invece i posti di lavoro, le cose non sembrano andare molto meglio.
Scontri, insulti e offese non fanno altro che buttare benzina sul fuoco in un contesto sociale già di suo altamente infiammabile. Lo sanno bene sia Matteo Renzi che i sindacati. Infatti, se giocare con il fuoco generalmente può essere pericoloso, a volte può servire a riconquistare spazi e posizioni perdute. Così, mentre siamo tutti in attesa di vedere quali risultati porteranno le riforme annunciate dal Governo, Matteo Renzi un primo obiettivo lo ha già ottenuto: ricompattare i sindacati. Un evento a dir poco storico che sembrava impossibile. Quegli stessi sindacati in crisi d’iscrizioni, che sembrano aver scelto la piazza proprio per riconquistare la paternità di una sinistra persa dopo anni di immobilismo.
(fonte immagine: www.huffingtonpost.it)