Se telefonando io potessi… darti i Big Data
La possibilità di utilizzare i Big Data della telefonia mobile per fini statistici riceve il Sì del Garante della Privacy. Lo studio dell’ISTAT dovrà coordinarsi con la tutela dell’interessato
“Sai ched’è la statistica?”, scriveva Trilussa.
Quel qualcosa che serve per fare un conto generale, della gente che nasce, che sta male, che muore, che va in carcere o che si sposa, così come rispondeva il poeta, attualmente, è parametro di una moderna e tipica combinazione dell’epoca 2.0: il diritto e la tecnologia, o meglio, l’asincronia tra diritto e tecnologia.
Quello spazio temporale indefinito nel quale il diritto cerca, disperatamente, un allineamento con il progresso della tecnica è teatro, oggi, di un’altra sfida: il coordinamento tra la tutela della riservatezza nei Big Data.
Il Sì all’utilizzo dei Big Data di telefonia mobile per fini statistici è arrivato anche dal Garante della Privacy, che però si raccomanda che ciò venga accompagnato da regole precise e garantiste dei diritti degli interessati.
Inquadriamo bene la situazione.
Un insieme di dati reperibili da diverse fonti che si aggiornano con notevolissima velocità, rispondono al nome di Big Data, i quali trovano la matrice preferenziali proprio nelle nostre iterazioni con il web: geolocalizzazioni, tweet, social network e servizi di messaggistica.
Tanto per rimanere in tema di statistiche, ecco dei numeri sui quale riflettere: 6 megabyte di informazioni digitali vengono prodotti da un individuo in 24 ore, 1,7 milioni di miliardi di byte vengono invece prodotti al minuto su scala mondiale.
SI chiama “Call Detail Record”, il sistema con il quale l’ISTAT studierà la mobilità italiana. Tale metodo prevede l’assegnazione di un numero progressivo, da parte delle compagnie telefoniche, all’utente ogni volta che questi effettuerà una chiamata.
L’identificazione dell’utente nei tabulati, però, non avverrà con le classiche generalità, bensì con delle coordinate indicative dell’ora e del luogo in cui è avvenuta la telefonata.
Lo scopo dello studio dell’ISTAT sarà quello di fornire un dettagliato patrimonio informativo come utile risorsa per migliorare la gestione di servizi come il trasporto locale, nonché per pianificare interventi della Protezione Civile nelle situazioni di necessità.
Il Garante, però, è giustamente fermo nel subordinare tale metodologia di raccolta dei dati, al fatto che avvenga nel rispetto dell’anonimato, e chiede, altresì, che essi non vengano controllati o “intrecciati”, per qualsiasi motivo, con quanto posseduto dall’ISTAT in altri database.
I racconti sulla nostra quotidianità scritti in termini di Big Data, dunque, rilasciano un’immagine, seppur parziale, delle nostre abitudini. Il rischio, connesso allo “sconfinamento” nella sfera più intima di un individuo, derivante dal trattamento dei dati, è, allora, ben evidente.
Pericolosità, in un discorso ben più generale, che diventa investimento per le imprese: l’osservazione comportamentale diventa, infatti, una strategia vincente di marketing altamente remunerativa (almeno in termini di risparmio del tempo).
Per non parlare, poi, della potenzialità lesiva in termini concorrenziali dello sfruttamento dei Big Data quale tecnologica predittiva delle scelte del consumatore nel mercato globale, ma questi sono altri discorsi.
Torniamo al Sì del Garante. Una risposta importante che conferma la rilevanza delle informazioni digitali nell’habitat informatico nel quale siamo immersi, ma ribadisce, al contempo, la necessità di regole sempre più duttili al progresso tecnologico; rilevanza e necessità che dovrebbero essere i nuovi perni del sistema moderno.
Il passo per entrare nell’universo alternativo di Minority Report sta diventando, in questo modo, sempre più breve, forse perché, oggi, la tecnologia è la nuova regola.