“Frank” di cartapesta
Il film di Lenny Abrahamson racconta le fragilità dello stare al mondo con il solo aiuto della musica
Nelle sale italiane dal 13 Novembre, Frank, il film di Lenny Abrahamson, entra con passo delicato e prova a raccontare una storia cruda sul talento e sull’illusione. Il regista, famoso e pluripremiato in Irlanda, ci è praticamente sconosciuto; eppure il taglio che dà al film ha una potenza così personale da farci quasi vergognare di questa mancanza.
L’esperienza autobiografica di Jon Ronson – sceneggiatore di Frank ed ex-tastierista di Frank Sidebottom, oscuro performer e alter ego del comico Christopher Sievey, è la vera chicca del film. La storia infatti, non è mai inverosimile pur essendo praticamente sempre assurda: è vita vera, con un pizzico di quella nota bizzarria che ha reso grande il genere umano.
La storia è quella di Jon (Bill Weasley in panni meno magici), giovane insoddisfatto ed appassionato, non tanto di musica, quanto della potenza creatrice da cui si è investiti nel comporla. Assiste per caso al tentato suicidio del tastierista dei Soronprfbs (band dal nome impronunciabile così come indiffondibile è la loro musica) e gli viene chiesto di sostituirlo nella serata programmata. Nonostante si riveli una performance disastrosa, Jon viene richiamato dal cantante della band: l’enigmatico Frank, che da anni ha sostituito il proprio volto con una serafica ed inquietante testa di cartapesta. Viene poi condotto in una baita tra le verdi colline irlandesi, dove si compirà la magia e verrà prodotto il nuovo disco.
Qui conosce gli altri membri della band: gli enigmatici, strampalati e silenziosi francesi che si ostinano a non adattare il loro idioma; Clara, bellissima e letale, con un effetto calmante su Frank ed uno decisamente contrario su Jon; Don, folle tuttofare con un’insana passione per i manichini; infine lo stesso Frank, creativo e perfezionista che si svela raccontando le proprie espressioni facciali sotto la maschera.
L’esperienza folle dell’incisione dell’album è scandita da sfratti, serate erotiche, razionamento di cibo e persino un suicidio; il tutto diligentemente ripreso e caricato su Youtube dal fido e sognatore Jon, che intravede nelle “originalità” della band la strada per il successo. Eppure, i Soronprfbs non sono nati per il palcoscenico, questo è evidente. La band, come un animale selvatico, si ribella con foga alle costrizioni, ai riadattamenti che propone il nuovo tastierista. Jon, dal canto suo, vive nella perenne convinzione che un giorno imparerà a fare musica, che le sue canzoncine di tre parole e ritornello siano espressione d’artista.
Il castello di carte crolla quando, grazie alle visualizzazioni, vengono invitati ad un grande festival estivo e la band, con una naturalità banale e disarmante, si scioglie. Sul palco arrivano solo Jon e un Frank vestito da donna, con tanto di eye-liner disegnato sulla maschera. Come le antiche ringkomposition, dopo lo svelamento della vera faccia di Frank (dietro cui si nasconde il credibilissimo Fassbender), la situazione ritornerà esattamente quella iniziale, con geniale canzone finale e l’estromissione del protagonista per sua volontà.
Sebbene definire con chiarezza gli intenti di una trama così sottile e all’apparenza semplice sembri un lavoro breve, il vero significato del film è sfuggente e diluisce nelle mille morali nascoste in ogni scena. Il talento e la creatività non si possono insegnare né controllare e forse, nemmeno asservire a nessun tipo di causa, anche sia positiva o voluta dal portatore. La purezza del ruolo di Frank, come indiscutibile Creatore, non è mai messa in dubbio dalla band, che sembra ignorarne sia la malattia mentale, sia i gesti sprovveduti.
Il tema dell’amore è infatti il sottinteso nascosto del film, che esplode poi nella rima “I love the wall, I love you all”, cantata da Frank sottovoce in un malfamato locale dove ritrova i suoi musicisti. L’alchimia ha un meccanismo di funzionamento ignoto agli uomini, che restano inebetiti di fronte agli effetti distruttivi di una singola azione, che aveva persino il fine opposto. La reazione di Jon di fronte ai danni recati alla band rimane sino alla fine l’incredulità; che è poi propria di ogni essere umano che scopre di essere invariabilmente fuoriposto in quella che credeva la sua naturale realtà.
Nato come un film di difficile fruibilità, Frank è invece una rivelazione. Una lode alle debolezze umane, un commosso peana al potere vivificatore della musica e a quello narcotizzante dell’illusione. Consigliatissimo.