Stato della Nazione Ebraica, la parola in più che crea timore
Il governo israeliano ha varato una bozza costituzionale dal forte carattere nazionalistico, accentuando l’ebraicità della Nazione. Il conflitto israeliano-palestinese muta forma e sostanza, ma resta ancora vivo nei confini della storica contesa
Il 23 novembre è stato presentato e votato il cosiddetto Jewish National State Bill. La proposta di legge per trasformare Israele in uno Stato della Nazione Ebraica ha avuto l’avallo di 15 ministri di rappresentanza dei principali partiti nazionalisti e sionisti della destra israeliana – quali Likud, Israel Beitenu e Casa ebraica. Un numero dispari dalla netta minoranza ha votato contro il tentativo nazionalistico del premier israeliano e 7 i voti coraggiosi seppur inefficaci, dei rappresentati dei partiti centristi Yesh Atid, Ha Tnuah, del Ministro della Giustizia Tzipi Lvni e del Ministro dello Sport Limor Livnat.
In questi giorni densi di terremoti sociali – segnati da scontri nella zona orientale di Gerusalemme, attentati di matrice islamica e dall’annosa incapacità di dialogo tra i due popoli – l’iniziativa di Benjamin Netanyahu non poteva attendere periodo piu fertile per seminare ulteriore diffidenza ed ostilità.
La complessità dei rapporti tra popolazioni in minoranza e maggioranza, vede nello Stato di Israele uno dei migliori teatri rappresentativi. Storicamente, i passi ed i movimenti effettuati da entrambe le parti hanno consolidato una sempre maggiore lacuna tra i cittadini. Le soluzioni legislative adottate hanno marcato la differenza in base al concetto di “nazionalità”. In questo caso nazionalità equivale a religione e religione equivale a strumento politico.
La questione della nazionalità in Israele è di estrema e primaria importanza – e questo perché si manifesta attraverso una profonda ineguaglianza tra cittadini. Nel 1992 la “Legge Fondamentale sulla libertà e la dignità umana” sbarrò il termine e significato dell’eguaglianza tra i valori costitutivi dello Stato di Israele. La natura insita nella cultura e nella tradizione israeliana sta di fatto proprio nella sua ebraicità, un’appartenenza nazional religiosa che rende meritevoli del godimento dei diritti chi è ebreo-israeliano, per consenso o per nascita.
Coloro che sono fuori dal cerchio della “nazionalità pura” – leggasi gli “Arabi” – detengono cittadinanza israeliana soggetta a sacrificanti limitazioni nella gestione del proprio diritto di proprietà. Spalla a spalla vive quotidianamente a tutti loro, una terza categoria politica di cittadini che raccoglie i residenti di Gerusalemme Est – persone che non possono vantare il possesso della cittadinanza israeliana. La loro storia ci riporta indietro nel tempo, nel 1967, quando la città di Gerusalemme venne riunificata dagli israeliani: quest’atto di invadenza sulla terra anticamente abitata da altra popolazione causò il rifiuto dei palestinesi residenti nel riconoscere la sovranità ebraica.
Così che il loro unico riconoscimento unanimemente considerato valido è il possesso di una residenza che permette loro di partecipare alle sole elezioni municipali – mentre restano soltanto spettatori delle più decisive consultazioni nazionali, riservate ad un pubblico d’elite che considera Sovrano lo Stato di Israele.
Al di là della capacità di essere politicamente attivi all’interno della propria terra esercitando il diritto di voto, i palestinesi residenti a Gerusalemme scontano tale mancato riconoscimento con l’assenza di servizi essenziali e di efficenti infrastrutture.
Tornando ai giorni nostri e al potere di Netanyahu, il testo approvato marca con ancora più irruente forza, la divisione tra cittadini Ebrei israeliani e cittadini Arabi israeliani – questi ultimi corrispondenti al 20% della popolazione; che a questo punto rischierebbero una crescente esclusione civile, sociale e politica nello Stato d’Israele.
Nella sfera mediatica, e per essere ancor più precisi in quella dei social network, rammarico e dissapore nei confronti del governo israeliano divampa giornalmente. La designer arabo-israeliana Sana Jammalieh ha polemicamente postato un’immagine del suo volto con su scritto “Cittadino di serie B”. La sua battaglia contro il contenuto della Legge fondamentale israeliana ha preso inizio sul suo profilo Facebook – per poi ramificarsi in tutto il Mondo, come la natura ed il fine dei social impone. In molti infatti hanno seguito l’esempio di Sana aderendo all’iniziativa e postando foto analoghe dal chiaro e diretto messaggio di protesta contro la decisione del premier Benjamin Netanyahu.
Si teme una morsa contro la cultura e la lingua araba, si teme la penalizzazione delle radici storiche di una cultura da secoli presente su quelle terre. Oltre i numeri che fanno di due popoli una maggioranza ed una minoranza, vi sono storie e radici che esigono cura e rispetto reciproco ma questo, nella geopolitica della questione israelo-palestinese stenta ancora ad essere capito.