Carolina, il caso Schwazer, il grande freddo e i CONI d’ombra
La Kostner rischia 4 anni e 3 mesi di squalifica per favoreggiamento nei confronti dell’ex fidanzato marciatore, fermato per doping alla vigilia di Londra 2012, in quello che sembra l’ultimo, feroce capitolo di un rapporto spesso tormentato tra la pattinatrice altoatesina e i vertici romani del Comitato Olimpico Nazionale Italiano
Imparare a danzare sotto l’infuriare della tempesta, dopo una vita passata a volteggiare sopra le asperità del ghiaccio. Quando neppure la lama di un pattino da competizione, ben affilata per penetrare in profondità la superficie gelata, potrebbe squarciare le viscere dell’anima quanto un deferimento, una pesantissima richiesta di condanna sportiva che è l’incerta, dolorosa somma di addendi personali e sportivi, diretti e indiretti, sentimentali e razionali. Amore e psiche, buona fede o copertura intenzionale, in un mix letale che mette in gioco la dignità di una persona, prima ancora che di una sportiva, di una campionessa fresca di uno storico bronzo olimpico per l’Italia negli sport invernali.
A due anni e mezzo dallo scoppio dello “Schwazer-gate”, legato alla positività dell’ex fidanzato e campione olimpico di marcia alla vigilia di Londra 2012, su Carolina Kostner si è abbattuta la scure della Procura Antidoping del CONI, guidata da Tammaro Maiello. Deferimento al Tribunale Nazionale e una richiesta di squalifica di addirittura 51 mesi con l’accusa di “aver violato gli articoli 2.8 e 3.3 delle Norme Sportive Antidoping”, aiutando l’ex compagno ad eludere un controllo antidoping nel luglio 2012 ad Oberstdorf e non denunciando le pratiche illegali alle quali il marciatore – squalificato tre anni e mezzo – si sottoponeva da mesi. Ombre e omissioni dalle quali la Kostner, tirata in ballo dal CONI appena due mesi fa, si è difesa a spada tratta con i suoi perché e le sue risposte ai mille dubbi della procura: spiegazioni puntuali per i suoi legali, contraddittorie per il pool romano. Al punto tale da spingere Maiello ad inoltrare una richiesta di stop addirittura superiore a quella inflitta allo stesso Schwazer – che potrà tornare alle gare dal gennaio 2016 – trovato positivo all’EPO e reo confesso in lacrime delle proprie follie farmacologiche.
MA CHE FREDDO FA – Carolina si è sentita tradita un’altra volta, come persona e come sportiva. E non più dall’ex fidanzato olimpionico, con il quale nel frattempo il rapporto sentimentale è finito in archivio, ma anche – non per la prima volta in carriera – dal CONI stesso. Da quella base romana con la quale la Kostner ha spesso coltivato negli anni un rapporto di fredda e reciproca diffidenza, alimentata dalle precoci investiture e dagli strali presidenziali, fatto di esaltazioni e di denigrazioni, di ingarbugliamenti linguistici e di spigoli geografici. Una distanza prima di tutto psicologica e culturale, oltre che kilometrica, tra le stanze dei bottoni della Capitale e l’amato ghiaccio di Oberstdorf, il paesino bavarese scelto nel 2001 per vivere sui pattini agli ordini del tedesco Michael Huth dopo la chiusura per una frana della pista di casa a Ortisei, in Alto Adige. La lingua di casa Kostner è il ladino, il tedesco è e diventa inevitabilmente risorsa fondamentale un gradino sopra l’idioma tricolore. Carolina fa però ovviamente parte della pattuglia azzurra e ha talento, moltissimo talento: è la prima pattinatrice italiana a vincere una medaglia – un bronzo – ai mondiali juniores nel 2003, all’esordio tra i Senior sfiora il podio europeo e un anno dopo conquista uno scintillante bronzo mondiale a Mosca 2005. A Roma cominciano ad accorgersi di lei in vista delle Olimpiadi Invernali di Torino 2006.
SBATTI IL GIOVANE IN PRIMA PAGINA – Forse pure troppo. Il Presidente del CONI, Gianni Petrucci, sorprende tutti e la nomina addirittura portabandiera azzurra nella cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici di casa. Non i mostri sacri Armin Zoeggeler, Giorgio Rocca o Giorgio Di Centa. È la 19enne altoatesina, sconosciuta al grande pubblico, cresciuta sportivamente all’estero, esordiente all’ombra dei cinque cerchi, a sfilare alla guida della delegazione italiana il 10 febbraio 2006 allo Stadio Olimpico di Torino. Una mossa dall’alto che profuma di marketing più che di sostanza, in una nazione dove le strutture di altissimo livello per gli sport invernali si contano sulle dita di una mano di un falegname disattento, e che carica inevitabilmente la Kostner di una pressione da 10000 Hectopascal. Tutta Italia le chiede la medaglia, Carolina frana sul ghiaccio piemontese durante un doppio triplo nel programma corto e si ferma al nono posto finale.
Ma almeno il ghiaccio – quello metaforico con la nazione d’origine si intende – è definitivamente rotto. La bellezza acqua e sapone, i modi gentili abbinati ad una sottile timidezza e il sincero candore di Carolina attirano sponsor, visibilità e consensi pressoché unanimi di pari passo con l’evoluzione della sua carriera. La Kostner non è una meteora di belle speranze, è un pattinatrice di figura capace di collezionare allori europei – il primo dei cinque totali nel 2007 a Varsavia – e podi mondiali, non senza alternare qualche caduta, implacabilmente sottolineata dai media nazionali, nei momenti topici di alcuni importanti appuntamenti internazionali. Il primo vero blackout della carriera travolge la campionessa di Ortisei ai mondiali di Los Angeles 2009: Carolina va in panne nel programma libero senza azzeccare alcun salto triplo, chiude quindicesima tra le lacrime, lontana come mai prima dalla sua passione e dal sogno sportivo di un’Italia che, se potesse, trasformerebbe quel quasi ossimorico ghiaccio californiano in morbida bambagia tricolore.
LA DONNA, IL SOGNO & IL GRANDE INCUBO – Assorbito lo shock iridato, il Golden State diventa presto il luogo dal quale ripartire in ogni senso possibile. La Kostner lascia Oberstdorf e coach Huth per trasferirsi a El Segundo, vicino a Los Angeles, con Frank Carroll e Christa Fassi a dirigerla tecnicamente e CONI e Fisg a sponsorizzarla in vista di Vancouver 2010. La vicinanza economica di Petrucci alla rinascita dell’altoatesina è sostanzialmente un aut aut unidirezionale in prospettiva olimpica: a Vancouver o medaglia o medaglia. E se gli europei di Tallinn ad inizio 2010 riportano Carolina e l’Italia sulla vetta del continente, in Canada a febbraio si materializza un nuovo fragoroso disastro: Carolina sbanda nuovamente nel programma libero, cade più volte, si piazza appena sedicesima con un punteggio a distanze siderali dall’oro della coreana Kim. Ed è qui che si consuma il primo vero tradimento del Comitato Olimpico Nazionale nei confronti della Kostner. Il presidente Petrucci la scarica pubblicamente – “Non è una campionessa, abbiamo buttato via 120mila euro” – immolandola come capro espiatorio della fallimentare spedizione olimpica nordamericana. Sui social viene ribattezzata “Cadolina Kostner”. Carolina deve ripartire un’altra volta. Da Oberstdorf. Da sola. Anzi no, perché nel frattempo è stabilmente presente nella sua vita Alex Schwazer da Vipiteno, già campione olimpico a Pechino due anni prima.
GAME (NOT) OVER – Dalle ceneri della solitudine sportiva, la Kostner rinasce quasi in apnea. Senza polemiche, senza strilli. Ma con risultati precisi e puntuali, in un crescendo rossiniano che è prerogativa solo di chi sa combinare testa, cuore e muscoli. Il primo gradino, come fosse una formalità di poco conto, è l’argento agli europei di Berna nel 2011, a cui seguono la seconda piazza anche a livello mondiale nello stesso anno a Mosca e il primo posto del ranking mondiale a fine stagione. E poi il 2012, che alla faccia dei Maya diventa un annata praticamente perfetta: doppietta d’oro tra europei e mondiali, prima pattinatrice italiana a vincere l’oro iridato nel pattinaggio di figura singolo – seconda in assoluto dopo l’oro del 2001 della coppia Fusar-Poli – Margaglio nella danza su ghiaccio. Due anni dopo lo sfacelo canadese, “Cadolina” è solo il ricordo di un’atleta insicura e poco protetta, celebrata dalla nazione e redenta anche dal Coni, prima con le scuse ufficiali di Petrucci, poi con il collare d’oro al merito sportivo. Sì, Carolina è davvero una campionessa. E ancora titoli europei, 9 in tutto, e podi mondiali fino al capolavoro olimpico di Sochi del febbraio scorso. Record di punti, prima medaglia olimpica per il pattinaggio di figura singolo – anche in questo caso seconda dopo Fusar-Poli – Margaglio a Salt Lake City 2002 – il trionfo, nonostante nel frattempo lo scandalo doping del fidanzato ne avesse inevitabilmente minato la tranquillità personale.
QUESTION TIME – Perché allora questo fulmine a ciel sereno a minare la dignità e l’immagine di una campionessa definitivamente consacrata all’ombra del sacro fuoco di Olimpia? Al di là delle sue colpe, vere o presunte, fa riflettere la temporalità di quest’operazione, la proiezione dell’immagine di una Carolina omertosa e accondiscendente a così ampia distanza dallo scoppio del caso e dalla squalifica stessa comminata a Schwazer. Perché il CONI ha deciso di agire solo adesso, dopo due anni di silenzio assoluto? Perché proporre una squalifica di così ampia durata? Forse solo quest’ultimo quesito ha una risposta certa: sono esattamente le sanzioni previste dal codice in caso di comportamento illecito riferito agli articoli in questione. Per tutte le altre domande, dopo tutte i chiarimenti forniti dalla Kostner, è il CONI stesso a dovere delle risposte alla campionessa di Ortisei. Italiana sì, simbolo sportivo a comando no.