Giorni di spasimato amore di Romana Petri
Romana Petri, autrice di vari romanzi e raccolte di racconti, esce in libreria con il suo ultimo prodotto, “Giorni di spasimato amore”, dramma struggente di un amore impossibile
La vita è fatta di momenti, i momenti sono fatti di attimi, e gli attimi sono fatti, a loro volta, di frammenti. In ognuno di questi frammenti è racchiusa una scintilla di Vita, che ha valore di per sé, ma che perde di significato globale se non è seguita da un’altra scintilla, subito dopo.
La scintilla, Antonio, l’aveva vista accendersi proprio di fronte ai suoi occhi, un giorno lontano del 1943, quando conobbe Lucia, la ragazza dalla lunga e spessa treccia nera che le ricadeva sul petto.
Ma questa scintilla, anziché generarne un’altra, si è dapprima affievolita con la morte improvvisa di Lucia, caduta sotto i bombardamenti di una inutile guerra che sembrava non avere mai fine, e poi ha ripreso a fiammeggiare talmente forte, così da bruciare tutto ciò che sarebbe venuto dopo. Il futuro. Quelli di don Antò.
È una storia di disperazione, d’amore e di cruda realtà quella che Romana Petri racconta in Giorni di spasimato amore, una storia che ha bisogno di trasformarsi in follia per dare voce alla verità e alla sincerità del sentimento.
Ci troviamo a Posillipo, Antonio è perennemente affacciato al balcone di casa sua e guarda il mare, quel mare che riesce a contenere tutto l’Universo in qualche onda e qualche tinta di un blu più intenso. Don Antò, come lo chiamano tutti, vive in un mondo a sé: dietro quei ricci biondi, dietro quegli occhi azzurri e quel fisico perfetto, si nasconde un’urgenza d’amore che, nei fatti, non potrà mai più essere appagata, se non nella mente dell’uomo.
Antonio e Lucia si sono conosciuti per caso, una mattina del 1943, mentre entrambi si stavano dirigendo a fare quel po’ di spesa che la Fortuna, in tempo di guerra, permetteva loro. I due giovani, assorbiti dal loro stesso amore, avevano progettato di sposarsi a guerra finita e di coronare quel sogno che odorava di eternità, ma che venne spezzato dalla morte improvvisa di Lucia, colpita a fuoco durante un bombardamento.
Antonio, da quel giorno, non sarà più lo stesso: la guerra lo ha diviso per sempre da Lucia, ma il ricordo della ragazza aggredisce la sua mente, divenuta ormai massa informe, preda del tempo, della schizofrenia e della disperazione.
Dopo mesi di ospedale e riabilitazione, Antonio, per la gioia di mamma Silvana – personaggio di tenace umanità, teneramente apprensivo, ma coraggioso e forte, nell’ingenua veracità di donna del Sud – torna a casa, guarito dallo shock, ma non da Lucia.
La vita che gli spetta è fatta di normalità, di pacatezza, di un lavoro sicuro alle Poste – dove si occupa dei telegrammi che, proprio come i frammenti della sua esistenza, ricopia su un quaderno personale e cerca di assemblarli per ricavarne una storia, la sua storia, la storia infinita del suo Amore – , una vita, insomma, in cui tutti i tasselli sembrano essere tornati al posto di partenza, dove nulla è cambiato, tranne tutto.
Donna Silvana, malata di cuore, in pena per quel figlio “pazzo” – come ormai lo definivano tutti in paese – e disgraziato, lo convince, prima della sua morte, a sposare la figlia del direttore delle Poste, Teresa, la ragazza bellissima e benestante destinata a soffrire accanto a quell’uomo timido e silenzioso, che non la vuole.
“Non era remissiva, Teresa, era una passionale che s’era messa in testa di usare la pazienza. Ma con uno avvezzo come lui alla pazienza, era una guerra persa”.
Non il destino, ma la volontà rabbiosa degli umani ha costretto i due giovani all’unione, che, come tutte le costrizioni, sfocerà in atti di violenza fisica da parte di Teresa, che si sente rifiutata, e di fine mattanza psicologica – se pure involontaria – da parte di Antonio, che vive, perennemente, nell’ossessivo ricordo di Lucia.
Ricordo che, però, appare in tutta la sua irreale tangibilità: una domenica, dopo che Teresa, ad un anno dal matrimonio, ancora illibata, ritorna alla casa paterna, la porta di don Antò emette un suono inusuale. Vibra sotto i colpi di una mano che bussa. È Lucia, tornata per restare, finalmente, per sempre.
La follia di Antonio ha trovato il culmine esatto nel ritorno della donna, che, chiaramente, vive solo nella sua immaginazione ma che, nei panni di fantasma, ha tutte le fattezze della ragazza di cui il giovane si era innamorato.
Un romanzo struggente, ambientato in una Posillipo piena di vita, colori, profumi e rumori, costantemente immersa in un sole che riscalda solo quando il cuore è appagato, un racconto imbevuto di un romanticismo autentico, che non sfocia mai nella banalità o nell’ovvietà.
Elaborato con uno stile asciutto, eppure appassionato ed appassionante, ricco di poeticità pur nella semplicità della forma e delle descrizioni, Giorni di spasimato amore è la storia di un sentimento totalizzante, di un amore che sfida i limiti del tempo e dello spazio, della cattiveria e delle illusioni, per approdare in una dimensione altra, fatta di vivacità del ricordo e di sfrontatezza delle emozioni.
“Ma la tua vita prima che io tornassi, com’è stata?”
“Come se mi portassi in tasca una lettera senza indirizzo”, le aveva risposto Antonio”.
Romana Petri
Giorni di spasimato amore
Longanesi, 2014
pp. 205
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