Rapporto Censis: l’Italia è una “società in liquefazione”
Dall’ultimo Rapporto Censis sulla situazione sociale italiana emerge un quadro di ansia e incertezza. Il “sistema Paese” si sta liquefando: la crisi economica sta intaccando il nostro tessuto socio-culturale. Solo le “raccomandazioni” godono di buona salute
L’immagine che emerge dall’ultimo Rapporto Censis sulla situazione sociale italiana è quella di un Paese in liquidazione. O per meglio dire, un sistema in “liquefazione”. Il Paese, nella “crisi”, ha perso l’anima: siamo sempre più in ansia, l’incertezza nel futuro non fa che aumentare, la forma dei nostri “modelli” di governo, di sviluppo, di gestione delle risorse, in particolare, di quelle umane, si è ormai svuotata di contenuto. Una spirale negativa che è partita dall’economia e che sull’economia si sta riavvolgendo, facendo colare a picco anche tutto il resto.
Qualche mese fa, sempre il Censis aveva fotografato un’Italia coraggiosa, orgogliosa, che tentava in tutti i modi di resistere di fronte alle misure di austerità. Da una parte il “vigore” delle donne “acrobate e multitasking”, delle “start-up”, dei piccoli imprenditori stranieri, dei giovani e meno giovani “pendolari globali”, dall’altra il “rigore” dal quale, proprio le migliori energie del paese, cercavano di svincolarsi. Insomma, il ritratto era quello di un Paese che aveva voglia di vivere, altro che depressione.
L’ottimismo di questa lettura, contenuta nel Rapporto Censis pubblicato nell’Aprile del 2014 e intitolato “Una prospettiva di vigore per uscire dalla depressione” era forse stato un po’ influenzato dalla collaborazione con Eni, Confesercenti e Padiglione Italia Expo 2015. Tutti soggetti che, magari legittimamente, hanno l’interesse a mostrare, appunto, una prospettiva di questo genere. Secondo l’ultimo rapporto dell’istituto di ricerca, invece, la situazione è più complessa.
La nostra società è sempre più “informe”, il nostro sistema si è “liquefatto”. Politica e sindacati, istituzioni e banche, non hanno perso soltanto la loro efficacia ma anche la capacità di comunicare tra di loro. In breve, sono diventati dei “contenitori vuoti”.
La nostra società è destinata ad evolversi in senso “a-sistemico”: “visto che non è più governabile con i tradizionali modelli sistemici (piramidali, collegiali, concertativi); visto che le forzature sui modelli tradizionali (in particolare l’accentuata verticalizzazione del modello piramidale) non sembrano ottenere risultati apprezzabili; visto che le catene sistemiche di comunicazione e di comando (top-down e bottom-up) sembrano sempre più sfilacciate; visto che anche i tentativi di attestarsi su più ridotte dimensioni sistemiche (dal federalismo al localismo esasperato) non sembrano per ora trovare spazio; e visto che anche sul piano del fondamento teorico è ormai superato il primato del modello organicistico (che ci aveva guidato dall’apologo di Menenio Agrippa in poi), mentre non riesce a imporre concrete relazioni di governance il modello cibernetico destinato a dominare nei prossimi decenni”.
In una situazione del genere sono le famiglie e gli individui a essere sotto assedio. “Il sentimento generale delle famiglie si riassume in tre parole: incertezza, inquietudine e ansia” si legge nel rapporto. Secondo il rapporto Censis si stima che nell’ultimo anno 6,5 milioni di persone, per la prima volta nella loro vita, hanno dovuto integrare il reddito familiare intaccando i risparmi o ricorrendo a prestiti. Il 60% degli italiani ritiene che possa capitare a chiunque di finire in povertà. Allora bisogna “coprirsi le spalle” – fuggendo dalla tassazione, ricorrendo al “nero” – e soprattutto “avere le amicizie giuste”. La “scorrettezza” viene considerata una risposta fisiologica.
Spiegano dal Censis: “tra i fattori più importanti per riuscire nella vita il 51% richiama una buona istruzione e il 43% il lavoro duro, ma per entrambe le variabili la percentuale italiana è inferiore alla media europea, pari rispettivamente al 63% per l’istruzione (82% in Germania) e al 46% per il lavoro sodo (74% nel Regno Unito). In Italia risultano molto più alte le percentuali di chi è convinto che servono le conoscenze giuste (il 29% contro il 19% inglese) e il fatto di provenire da una famiglia benestante (il 20% contro il 5% francese). Il riferimento all’intelligenza come fattore determinante per l’ascesa sociale raccoglie il 7% delle risposte in Italia: il valore più basso in tutta l’Unione europea”.
Le “raccomandazioni” sono sempre state un nostro problema ma davanti alla dissipazione di un “capitale umano” arrivato a 8 milioni di disoccupati, che aspettano solo di essere incoraggiati, instradati e valorizzati per mettere a frutto il loro potenziale, il sistema dei “favoritismi” – l’unico meccanismo “tradizionale” a godere di buona salute in Italia – non può essere giudicato esclusivamente come ingiusto. Esso diventa scelta auto-distruttiva, principio anti-economico, probabilmente, fattore di rischio per l’ordine pubblico.
Al Censis, però, si predica bene e si razzola male. Giuseppe De Rita, che ne è l’attuale presidente, ha appena annunciato la nomina di suo figlio Giorgio a “segretario generale per il triennio 2015-2017” nonché facente funzione nello stesso periodo di Direttore Generale. Si parlava di “avere le amicizie giuste”, no?