Il Chelsea Hotel, la dimora del mito
Un libro-tributo al luogo simbolo della bohéme newyorkese è l’ultimo lavoro della giornalista Sherill Tippins, che ci conduce in un viaggio nel mito
A New York City nel distretto di Chelsea, zona sud-ovest di Manhattan vicino al fiume Hudson, incastonata tra la 23esima Strada Ovest e la Settima c’è una costruzione di 12 piani, dalla facciata in mattoni rossi in stile vittoriano-gotico, con i balconi in ferro battuto. Siete di fronte a un luogo leggendario, siete al cospetto del Chelsea Hotel.
Sì, quello cantato da Leonard Cohen in Chelsea Hotel #2 e sì, quello del film di Andy Warhol e Paul Morrissey The Chelsea Girl, anno 1966, con la bella Nico che si aggira in cucina per tagliarsi i capelli mentre il figlio fa colazione.
Sul portone dell’edificio numerose targhe commemorative ricordano alcuni degli ospiti che hanno popolato le stanze del Chelsea Hotel: Mark Twain, Dylan Thomas, Tennessee Williams, Charles Bukowski, Gore Vidal. Iggy Pop, Basquiat, Jimmy Hendrix, Jim Carroll, Lou Reed, Roger Waters e Dee Dee Ramone sono tutti passati, prima o poi, dal Chelsea Hotel. Elencarli tutti sarebbe impossibile, ma nel coinvolgente lavoro di Sherill Tippins, Chelsea Hotel – Viaggio nel palazzo dei sogni vi sembrerà di muovervi tra le sue stanze, in un viaggio temporale e culturale tra tutti i fermenti e le utopie che si sono succeduti nel corso di più di un secolo.
Ideato dall’architetto francese Philip Hubert che sposa le idee del socialismo utopista del filosofo Charles Fourier, il Chelsea Hotel vuole ricreare proprio una comunità utopista, ossia un ambiente esente dalle pressioni economiche e sociali, in modo da permettere agli artisti che vi risiedono di dedicarsi soltanto all’arte in tutte le sue espressioni, questo perché secondo i fuorieristi, sono gli artisti che devono trovare parole e immagini che uniscano una popolazione. L’edificio, quindi, prevede spazi privati e spazi pubblici di condivisione per permettere agli ospiti di socializzare, inoltre gli inquilini provengono da ogni strato sociale, proprio per garantire pluralità e scambio fecondo.
È uno dei primissimi esempi di home club, ossia di una residenza in cooperativa, dove si vuole creare una comunità basata su affinità non legate al reddito, all’educazione o all’istruzione, ma “A una propensione per la novità, l’interazione sociale, gli stimoli intellettuali e il lavoro creativo” come scrive la Tippins. Nell’intento di Hubert la comunità che doveva popolare il Chelsea doveva rappresentare l’energia e la varietà proprie di New York.
Nel 1905 il progetto fallisce e l’edificio viene adibito ad hotel dove soggiornarono Mark Twain, Edgar Lee Masters e Sherwood Anderson; quest’ultimo notò come “Il Chelsea era un antidoto all’efficienza e al cinico affarismo”. Come indica la Tippins, era un luogo dove “L’amicizia dei vicini, il rispetto della privacy e gli affitti sufficientemente bassi consentivano ad un artista una vita creativa ricca e gratificante”. Il claim del Chelsea Hotel avrebbe potuto essere ”Si poteva essere poveri e pensare che valeva la pena di vivere”.
Verso la metà degli anni Trenta inizia a circolare la voce che l’albergo avrebbe chiuso per fallimento. Masters provò a immaginare cosa sarebbe successo nella poesia The Hotel Chelsea “….E allora chi saprà che Mark Twain passeggiava/ Nella fastosa sala da pranzo, che principesse, / Poeti e famose attrici / Vissero qui e ne furono l’anima…”.
Con la Seconda Guerra Mondiale anche il Chelsea Hotel subì un terremoto interno, perché effettivamente fallì, fu pignorato e poi rilevato da un gruppo di emigrati ungheresi capeggiati dall’albergatore David Bard che ne mantenne l’impianto di residenza per artisti, incoraggiando la presenza di scrittori e musicisti, dei quali era preservata la privacy e i cui eccessi erano gestiti con tolleranza. Non sorprende che il New York Times Book Review ha definito il Chelsea Hotel “Uno dei pochi luoghi civilizzati della città, se per civiltà si intende la libertà dello spirito, la tolleranza delle diversità, la creatività e l’arte”.
Un caleidoscopio di varia umanità viveva al Chelse Hotel. Peggy Guggenheim, grande mecenate dell’arte, sostenitrice delle avanguardie e talent scout di talenti, che organizzò una cena in onore di Jackson Pollock che, bellicoso e ubriaco, vomitò davanti ai commensali chiamati a sancirne lo status di artista di razza. Nella suite n.920 si trasferì col suo pianoforte Virgil Thomson che iniziò a intrattenervi una schiera di amici, da Leonard Bernstein a Martha Grahm.
Il Chelsea Hotel fu un rifugio per i Beat. Leggenda vuole che Jack Kerouac abbia scritto in sole tre settimane, sotto l’effetto della benzedrina, la bibbia della Beat Generation Sulla Strada. Uno dei padri dei Beat, il tossico ed oscuro Williams Burroughs di ritorno da Tangeri si fermò al Chelsea Hotel per scrivere Il pasto nudo, altra pietra miliare della letteratura dei Battuti&Beati. I due una sera riconobbero nella hall dell’hotel Gore Vidal, che li incuriosiva per aver parlato con coraggiosa franchezza della sua omosessualità ne La statua di sale e gli si avvicinarono, il resto è storia. Anche Allen Ginsberg frequentava l’hotel. Henry Miller si rifugiò in una di quelle stanze dopo la fine del suo rapporto con Marilyn e vi scrisse Dopo la caduta.
Negli Anni Sessanta molti artisti pop si ritrovavano al Chelsea Hotel per collaborare. Vi soggiornò anche Daniel Spoerri che allestirà le sue opere-trappola. Qualche piano più su si erano sistemati Jean Tinguerly con Niki de Saint Phalle. Poi fu la volta dell’artista Christo e sua moglie Jeanne-Claude. Il Chelsea Hotel era diventato “L’ Ellis Island dell’avanguardia”.
Tante le muse ospiti del celebre edificio, da Edie Sedgwick a Marianne Faithfull, ospite delle memorabili feste wild dei Rolling Stones.
Immaginatevi di svegliarvi al Chelsea Hotel “Woke up it’s a Chelsea morning and the first thing that I saw…was a rainbow on the wall” come cantava Joni Mitchell nella splendida Chelsea Morning e di scendere la maestosa scala interna che volteggia per 12 piani e che voleva essere una sorta di viale interno. Alle pareti trovate tele di artisti che le hanno scambiate per sfuggire a una notte all’addiaccio (Pollock e de Kooning, Francesco Clemente e Julian Schnabel), scendete giù al piano terra e vi recate nella sala col caminetto, perché i fantasmi della notte e gli eccessi che questa ha tollerato vengano fatti evaporare come acqua dal fuoco scoppiettante che rimanda un’aria di casa confortevole e conviviale.
Tante le storie di amore e passione. Qui si rifugiarono, giovani e squattrinati, Patti Smith e Robert Mapplethorpe sentendosi un po’ come il loro idolo Rimbaud. Anni dopo Patti con Sam Shepard. Qui Bob Dylan e la moglie Sara vissero per un po’, il tempo necessario a Dylan per concludere l’album Blonde on Blonde con la struggente Sad-Eyed Lady of Lowlands. Leonard Cohen e Janis Joplin vi trascorsero una notte insieme, immortalata nelle strofe di Chelsea Hotel #2. Una storia d’amore invece visse il suo tragico epilogo e contribuì a segnare un momento di declino del Chelsea Hotel. È l’ottobre del ’78 quando Nancy Spungen, fidanzata del bassista dei Sex Pistols Sid Vicious, viene trovata morta nella stanza n.100. Da allora l’aria sarà diversa, cupa e tetra.
Anche il mondo del cinema è passato per il Chelsea Hotel: Dennis Hopper, Stanley Kubric, Milos Forman nel periodo in cui girava il musical Hair. Non sorprende che un capolavoro come 2001: odissea nello spazio sia stato scritto dallo sceneggiatore Arthur Clarke in una stanza all’ultimo piano proprio di questo straordinario Hotel, che sembra far accedere ad un’altra dimensione, dove realtà e finzione si confondono in un incessante caleidoscopio.
Tante le eccentricità, tre su tutte: la coreografa Katherine Dunham che portò in camera due leoni vivi per le prove di un’Aida in chiave africana; il compositore George Kleinsinger che creò uno studio-giungla con tanto di piante, uccelli, pesci tropicali e un pitone e Alice Cooper, che girovagava per i corridoi dell’hotel col suo pitone al collo.
A inizio Anni Novanta il Chelsea Hotel diventa il set del libro scandalo di Madonna, Sex. Nel 1999, il cantante Rufus Wainwright vi si rifugia per scrivere le canzoni del suo secondo album, Poses, che contiene il brano Cigarettes & Chocolate Milk il cui ritornello dice che ci sono troppi cravings, troppe cose che danno dipendenza, come sanno bene i frequentatori dell’Hotel.
Nel 2007 Stanley Bard viene estromesso dal C.d.A. Nel 2011 il Chelsea Hotel ha chiuso i battenti, venduto per 80 milioni di dollari a una delle più importanti società immobiliari di New York, il Chetrit Group, per farne un residence di lusso. Se andate sul sito ufficiale chelseahotels.com un ben augurante Reopening 2015 campeggia in cima alla pagina e ai ritratti di alcuni dei leggendari ospiti dell’Hotel. Questo fa pensare che l’edificio non verrà trasformato in un hotel di lusso, anche se bisognerà verificare quanta autenticità del suo glorioso passato è stata preservata.
Qualsiasi cosa accada, la fama del Chelsea Hotel continuerà ad esistere grazie alle opere create nelle sue stanze e alle tantissime canzoni ad esso ispirate. Come ha detto qualcuno, il Chelsea Hotel è stato una Torre di Babele della creatività e delle cattive abitudini che alcuni artisti, almeno una volta, hanno chiamato casa.