Magic in The Moonlight: Woody Allen is back
L’ultima pellicola di Woody Allen tra Provenza, illusione e magia
Lunghi sospiri si levano da ognuno di noi, è inutile negarlo, ogni qualvolta viene annunciata una nuova pellicola di Woody Allen. Sospiri di trepidazione e preoccupazione insieme, sperando nel capolavoro e temendo la delusione. Un regista che ha collezionato, in quasi cinquanta anni di carriera, un tale numero di successi e film universalmente riconosciuti come “must see” è forzatamente guardato con il sacro timore dell’aspettativa, ed è pertanto spinoso commentarne una nuova uscita con nettezza.
In barba a tutto ciò, il 4 dicembre è uscito nelle sale Magic in The Moonlight, con cui il regista intende riportare il suo pubblico a riflettere sulla magia, vera o falsa, la cui esistenza siamo sempre impegnati a negare e a sperare.
Colin Firth interpreta Stanley Crawford, cinico inglese nella vita privata, fantasioso mago ed illusionista in quella lavorativa. Come supremo conoscitore di trucchi magici, si gloria della certezza di sostenere che la magia non esiste, se non grazie alla sublime arte del suo personaggio: il decadente Wei Ling Soo, posticcio orientale che riesce a far sparire elefanti ed esseri umani senza fatica.
Scandita da squisita musica jazz (grande passione del regista), la storia si sposta in Costa Azzurra, dove un collega ed amico di Stanley lo prega di smascherare una sorprendente medium, la splendida Emma Stone, che ha convinto persino lui a credere nel fantomatico Aldilà. Sophie, questo è il nome dell’intrigante, accompagnata dalla madre-manager, sta conquistando l’intera ricca famiglia Catledge ed in primis il giovane erede.
Stanley è uno scettico, usa il cinismo e lo humor nero come mezzi per rendersi istantaneamente superiore, tuttavia apprezzato. Si eleva sulla cima del palcoscenico immaginario che ha bisogno di ricavarsi anche nella vita privata. Conoscere Sophie lo sconvolge dalle basi, lo capitombola giù dal palco e lo costringe a ricredersi. Sembra che la ragazza sia autentica, riconosce la sua falsa identità, indovina importanti dettagli della sua vita, comunica con gli spiriti.
La vita di Stanley cambia, la felicità torna ad esistere, grida a gran voce di essersi sbagliato. Si svela infine, il desiderio nascosto di ogni miscredente: essere nel torto, dover ritrattare ed entrare nel mondo di coloro che invece, così fortemente e prepotentemente, credono.
Sulla falsariga di Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni, film del 2010 molto meno riuscito e comprensibile, Allen torna all’agrodolce spiegazione che ha per tutte le illogicità umane: l’ironia della sorte. Il film ha il compito di rappresentare in 98 minuti, quel sorriso sghembo che ogni uomo piccolo porge in regalo al proprio incontrollabile destino. La vera chicca è la sottigliezza con cui Allen ne realizza il dramma: quello della piccolezza, dell’impotenza e della speranza.
Il protagonista, a cui non ci si può che affezionare, è ridicolo ed è perfetto. Dopo una lotta ben poco dura, si adagia e si lascia trascinare, sconfitto dal più dolce dei nemici: la felicità. Il regista non ci dice altro che questo: quanto sia nobile, forse anche giusto, lasciare la presa da qualcosa che in fondo non saremmo mai stati in grado di tenere a bada. È un film amaro, ma scintillante: la tragedia umana, in fondo, è la gloria di ognuno di noi.
Allen torna, finalmente, brillante. Con personaggi nitidi, ironia pungente, morale dissacrante e più di un tocco di classe, Magic in the moonlight abbraccia la riuscita di Basta che funzioni, sorprende e diverte. Sembra quasi di sentirlo, un Allen beffardo, dire: sono invecchiato, mica morto.