Mafia Capitale: intervista a Celeste Costantino
La deputata di Sinistra, Ecologia e Libertà Celeste Costantino, da anni impegnata a combattere la criminalità organizzata, ha risposto ad alcune nostre domande sul presente e il futuro di Roma, a cominciare dall’inchiesta su Mafia Capitale
Onorevole Costantino, le operazioni portate avanti dalla procura di Roma sulla criminalità organizzata nella Capitale sono arrivate durante il semestre italiano di Presidenza del Consiglio dell’Unione Europea. Sappiamo invece che in molti denunciano la presenza della mafia a Roma già da anni, a cominciare dall’Associazione daSud, di cui lei è stata portavoce. Secondo lei la UE si rende conto che sarebbe necessaria un’azione a livello comunitario per supportare l’Italia in questa battaglia?
Il semestre italiano di presidenza dell’UE rappresenta una opportunità mancata proprio in questo senso, sia per il nostro Paese che per l’Unione Europea. Ancora oggi, lo dice l’ultima relazione antimafia presentata, sussiste un grosso ritardo da parte di entrambi gli attori, su un terreno in cui bisogna agire anche in ottica di prevenzione e non solo sull’emergenza.
In Europa e nel mondo le mafie sono diventate un pezzo strutturale del sistema economico, del sistema di potere nazionale e dei territori, raccogliendo la sfida della globalizzazione prima di tutti. Le istituzioni, soprattutto quelle europee, però faticano ancora ad accettare il ruolo delle mafie nell’economia reale e “legale”, e stanno ritardando l’adozione di strumenti necessari per combattere il nuovo volto dei clan e riconoscere in maniera omogenea il reato di associazione mafiosa. Da questo punto di vista l’Italia avrebbe potuto trasferire capacità, competenze, normative e pratiche, da mettere al servizio dell’Unione europea nella battaglia contro le mafie. L’esportazione delle nostre leggi (le più avanzate sul tema) e del “metodo Falcone” per un migliore coordinamento investigativo e conoscitivo costituiscono un patrimonio di tutti: l’Italia avrebbe dovuto coordinare i lavori in sede europea con un protagonismo e una decisione maggiore su un tema che riguarda tutti i Paesi comunitari.
L’Italia ha anche delle altre colpe, più gravi alla luce dell’esperienza che ha su questo campo: siamo uno dei Paesi che, meno degli altri, ha implementato gli accordi che via via negli anni sono stati sottoscritti in ambito continentale per contrastare le mafie e la criminalità transnazionale, dai trattati sul sequestro a quelli sul mutuo riconoscimento dei provvedimenti di confisca dei beni. È evidente che solo con un lavoro di squadra, solo facendo andare di pari passo le normative è possibile immaginare una azione comunitaria antimafia. Che non riguarda solo gli strumenti classici della cosiddetta antimafia: oggi l’Italia dovrebbe essere promotrice di un nuovo approccio alla lotta ai clan, che non lo consideri un settore disgiunto dalle politiche del lavoro, del welfare, dell’economia, della giustizia sociale, dell’immigrazione. L’antimafia è il prerequisito dell’agire politico, e questa riflessione sfugge proprio all’attuale Governo Renzi. Tutte le volte che lo Stato, e le istituzioni fanno un passo indietro o lasciano degli spazi vuoti, le mafie avanzano, colmano e creano consenso sociale. Anche in Europa.
Durante il recente convegno di SEL al Teatro Ambra Jovinelli di Roma, Nichi Vendola ha detto chiaramente che il suo partito appoggerà al 100% Ignazio Marino e la sua giunta nella bufera in cui è coinvolta la Capitale. In una situazione del genere i cittadini di chi possono fidarsi, considerando che la politica è sempre più lontana da loro?
Il sindaco Marino deve continuare il suo lavoro amministrativo e, in questo magma che non lo lambisce (ricordiamo), ha bisogno del sostegno e della fiducia dei cittadini che vogliono davvero cambiare la Capitale. Credo che sia evidente come con la sua elezione sia stato spezzato un sistema criminale pervasivo che vedeva nell’alleanza tra destra eversiva, pezzi corrotti delle istituzioni e cooperative compiacenti il paradigma di mafia capitale. Minimizzare questi eventi o normalizzare alcuni aspetti dell’indagine come sta accadendo in questi giorni è un atteggiamento sbagliato e mi ricorda i tempi bui del negazionismo riguardo alla ‘ndrangheta.
È chiaro che i clan si cibano di potere politico, corruzione e concussione. Senza sarebbero depotenziati. Le risposte sono la democrazia partecipativa, la trasparenza, rendere le nostre istituzioni come case di vetro. Ignazio Marino oggi è di fronte ad una ulteriore sfida: deve cambiare passo, programmare, verificare e mettere in discussione i vecchi modelli ereditati da un sistema completamente marcio. È importante che uno dei primi atti del Campidoglio sia stato costituirsi come parte civile del processo. Ora bisogna frenare i populismi: il commissariamento del Comune non può essere la risposta. Solo la buona politica, le alleanze sane tra cittadini, associazioni e buone pratiche possono far uscire questa città dal buio di mafia capitale.
Circa un anno fa veniva firmato “Municipi Senza Mafie”, il primo protocollo antimafia di Roma. Ad oggi però, si legge nel primo bilancio, nessuno dei Municipi della Capitale ha rispettato gli impegni assunti. Come spiega questo risultato?
Il protocollo “Municipi senza mafie”, firmato l’anno scorso da tutti i mini sindaci della Capitale, è uno strumento sperimentale di prevenzione, una buona pratica che dovrebbe essere adottata anche da altri enti territoriali. L’obiettivo del protocollo, di durata triennale, è proprio quello di mettere i bastoni tra le ruote ai clan e contrastare il radicamento mafioso sul territorio, su cinque temi strategici: la gestione degli appalti, le pratiche anti-corruzione, il contrasto del gioco d’azzardo, la valorizzazione dei beni confiscati e la promozione della formazione e dell’istruzione.
A distanza di un anno il bilancio non è positivo. Molti municipi hanno sottovalutato gli impegni presi e altri hanno avuto la forza di reagire solo dopo l’inchiesta “mondo di mezzo” sulla mafia capitale. ma diciamo pure che c’è un decentramento mai attuato, che quindi sono depotenziati. Alcuni piccoli obiettivi sono stati raggiunti, ma sono insufficienti nel contesto cittadino. Bisogna fare di più. Serve una nuova consapevolezza da parte delle istituzioni, e anche dai cittadini. È importante promuovere meccanismi di partecipazione e diffondere buone pratiche antimafia partendo proprio dalle istituzioni più vicine ai cittadini.
Questione periferie: è uscito allo scoperto che quello che è successo a Tor Sapienza settimane fa potrebbe essere collegato alla criminalità organizzata. In ogni caso sono molte le zone di Roma che soffrono, l’elenco di questi quartieri è sostanzioso. Come ci si dovrebbe muovere per migliorarli?
L’inchiesta su “Mafia Capitale” non ha ancora portato alla luce un legame diretto con gli scontri avvenuti nelle periferie. Però è chiaro che “Mondo di mezzo” delinea un contesto in cui anche gli ultimi avvenimenti di Corcolle e Tor Sapienza sembrano rientrare. Ma non perché ci sia un collegamento con la cooperativa gestita da Buzzi o siano stati eseguiti ordini di Carminati: le mafie, in tutte le città, soprattutto quelle metropolitane, giocano sul disagio sociale, alimentando e cavalcando la crisi, scambiando diritti per favori, creando un welfare parallelo. In questi non-luoghi si incrociano adesso tanti temi e non si può ridurre tutto a semplice degrado, razzismo e xenofobia. Bisogna farsi carico di questa complessità ed evitare, come è accaduto, che il disagio dei cittadini venga direzionato dai “professionisti delle politiche dell’odio” in binari sbagliati che portano solo a rabbia sociale e scontri.
Serve maggiore ascolto e verifica di quello che accade nei nostri territori, più servizi sociali, una migliore mobilità, nuovi spazi di cultura e centri aggregativi, una rigenerazione urbana che veda nell’ecologia e il rispetto dell’ambiente il primo obiettivo. Nessuno deve sentirsi isolato o cittadino di serie B.
Fino a qualche tempo fa si negava la presenza delle mafie al Nord così come fino a pochi giorni fa si aveva paura a collegare il nome di Roma alla mafia. Secondo lei quanto è importante la “cultura della legalità” per un cittadino della Capitale e più in generale per un italiano?
Credo che la parola “legalità” sia superata nella nuova antimafia sociale, fatta di rivendicazioni di diritti e buone pratiche politiche. L’obiettivo della lotta ai clan deve essere la giustizia sociale, che si può raggiungere non puntando tutto sulla sicurezza e il rispetto della legge. Mai come in questo periodo di crisi questo ragionamento può essere attuale: siamo di fronte a disuguaglianze che non fanno altro che aumentare la forza lavoro della mafie.
Da legislatrice posso dire che molte leggi purtroppo sono aggirabili, piene di falle e vengono utilizzate dalle mafie per dare parvenza di legalità ai loro business. Penso ai reati di riciclaggio e autoriciclaggio, al girobolla per i rifiuti delle ecomafie e all’assenza di alcuni reati ambientali nel nostro Codice penale. L’inchiesta “Mafia Capitale” non può e non deve portare solo all’inasprimento delle leggi sulla corruzione (in primis allungamento prescrizione ed innalzamento delle pene). La politica deve adesso rivedere il suo impianto globale di lotta ai clan, includendo strumenti di antimafia sociale, di prevenzione e di formazione.