Cuba, la data storica

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Il 17 dicembre Raul Castro ha tenuto in discorso di fronte alla nazione cubana. Più a nord, poco tempo dopo, anche Barack Obama si è rivolto ai suoi cittadini. Il messaggio era identico: è normalizzazione nei rapporti tra Cuba ed Usa

di Martina Martelloni

Cuba-UsaL’Isola delle Grandi Antille affascina per bellezza, cultura, tradizione, spensieratezza e storia. Proprio la Storia di Cuba inizia ad infilarsi in un tornado di cambiamenti e trasformazioni: colonia spagnola nel XVI secolo, dal 1898 passò sotto il controllo degli Stati Uniti d’America, dopo una dura guerra ispano-americana; dal 1902 Cuba divenne Stato Indipendente ma la sua, era un autonomia soggiogata ed ombrata dalla presenza degli Stati uniti, custodi di un “diritto di intervento sugli affari interni”, un’ ombra durata fino al 1934.

La Revoluciòn Castrista, esplosa il 1 gennaio del 1959, colorò l’aria di Cuba di rosso sovietico, avviando un progressivo adeguamento al modello politico- istituzionale della geograficamente distante Unione Sovietica.

Coloro che misero le mani sull’isola come vittoriosi conquistatori e “liberatori” dai coloni spagnoli, gli Stati Uniti, scelsero di mettere in punizione quegli stessi cubani prima posti sotto la loro ala ed ora, con il cuore rivolto al Cremlino. Rigide misure di embargo economico e commerciale colpirono Cuba e il governo socialista di Fidel – misure mantenute anche dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica.

Il tortuoso rapporto tra l’isola di Cuba e gli Stati Uniti d’America è iniziato così, da quella rivoluzione cubana degli anni Sessanta che ha visto emergere nomi divenuti per molti degli idoli indiscussi dell’ideologia socialista e comunista internazionale: Ernesto Che Guevara e Fidel Castro.

La politica delle ostilità tra le due compagini statali ha cambiato rotta lo scorso 17 dicembre, giorno di discorsi presidenziali e di annunci istituzionali da far riscrivere le pagine della Storia. Il governo di Cuba ha scarcerato il cittadino statunitense Alan Gross dopo cinque anni di prigione, una decisione cubana apprezzata e confermata anche dai funzionari dell’amministrazione americana.

I motivi della scarcerazione sono solo le immagini ultime di un cortometraggio già studiato e preparato in anticipo, un accordo tra i due governi per placare gli animi e liberare reciproci cittadini rinchiusi nelle prigioni cubane e statunitensi. Tra questi, anche gli ultimi cubani del gruppo “Cuban Five” incarcerati dalla giustizia americana nel 1998 con l’accusa di coospirazione e spionaggio. Dal lato americano invece è prevista la liberazione di 53 prigioneri politici oltre quella del cittadino Alan Gross.

L’embargo contro Cuba, entrato ufficialmente in vigore nel 1962, ora potrebbe essere l’ultima pietra di un muro di chiusura e di alienazione.
Raul Castro, fratello di Fidel, ha voluto parlare al suo popolo intervenendo alla televisione di stato cubana. Le sue parole hanno segnato un radicale cambiamento degli eventi, l’annuncio della scarcerazioen di Alan Gross ha aperto un grasso e grosso frasciolo rimasto a lungo chiuso ed impolverato sulle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Cuba. Una nuova era confermata anche dal presidente americano Barack Obama reo confesso di voler aprire “un nuovo capitolo” con Cuba.

Lo spiraglio di luce dopo anni di ombra, comporterebbe rilevanti passi in avanti sul processo di dialogo e di rapporti istituzionali. L’accordo siglato tra i due presidenti prevede la possibilità di stabilizzare in terra cubana la prima ambasciata americana a l’Avana, dun graduale alleggerimento delle restrizioni sulle attività bancarie nonchè maggiori rimesse per l’invio di denaro da parte di cittadini americani aventi origine cubana.

Gli Stati Uniti metteranno mano anche sulle carte di restrizione per la libertà di movimento prevista per 12 categorie di persone; oggi ostacolate nella loro possibilità di entrare a Cuba.

Perché ora? Perché proprio in pieno mandato dell’amministrazione Obama? E soprattutto cosa nasconde davvero una presa di posizione di tale calibro storico?

In molti, tra stampa, media, politici ed economisti hanno provato a fornire disparate giustificazioni – celate dietro i discorsi di un accordo tra due Stati diversi per ideologia, per status economico e approccio al Mondo esterno. Alcuni parlano della volontà egoistica del presidente americano di voler lasciare traccia di  sé nella Storia del Paese e del continente, altri temono sia un passo necessario per trovare più alleati possibili contro la minaccia terroristica dell’Isis.

Altri ancora hanno introdotto nella narrazione, un terzo protagonista dei giochi della conciliazione: il Venezuela. Il Paese più affine e vicino alla Cuba castrista, vive una difficile situazione economica a causa dei bassi prezzi del petrolio. I cubani, dipendono principalmente dalle importazioni venezuelane nonostante le buone prospettive di estrazione di idrocarburi previste nel prossimo futuro.

Sulla scena delle trattative, ruolo dall’incisiva influenza è stato rivestito da Papa Francesco e dal Canada – ma al di là dei buoni propositi, l’esito finale di questa stretta di mano risulta ancora un miraggio. Non poco invasiva risulterà infatti il parere decisionale del Congresso statunitense. Gran parte dei senatori di ramo repubblicano hanno già manifestato il loro dissenso, tra questi anche cittadini di origine cubana come Marco Rubio della Florida e Ted Cruz del Texas.

I lunghi anni di sanzioni contro Cuba, hanno portato a ben pochi risvolti e a quasi nessun orgoglio, la politica statunitense per voce di Obama sembra aver finalmente preso consapevolezza e di aver ammesso tale fallimento: “questi 50 anni hanno dimostrato che l’isolamento non ha funzionato”.

Ciò che verrà fuori dal Congresso, che da gennaio apparirà in tutta la sua maggioranza repubblicana, siglerà per ancora molto tempo il destino incrociato di Cuba e degli Stati Uniti. Nell’attesa di una risposta, il segretario di Stato americano John Kerry si recherà all’Avana il prossimo mese.

Raul Castro continua a ringraziare il presidente Barack Obama dell’apertura al dialogo, nonostante questo l’ultimo paladino della rivoluzione di Fidel, ha chiarito di fronte al Parlamento un concetto chiave e fondante dell’Isola delle Grandi Antille: “Cuba resta comunista, il Paese non cambierà il suo sistema politico”.

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