Roma Termini, storie di ordinario anonimato
“Roma Termini”, docu-film di strada sulla vita dei clochard romani del regista Bartolomeo Pampaloni
Chi ha vissuto a Roma lo sa, come lo sanno i turisti che transitano per Roma Termini. La realtà dei clochard è sempre più preoccupante. Giorno dopo giorno gli angoli bui della principale stazione della Capitale si affollano dai senzatetto alla ricerca di un posto dove trascorrere la notte. Di giorno e di notte passiamo davanti a loro, distaccati, indifferenti come se la cosa non ci riguardasse, perchè non possiamo fare nulla per loro se non offrirgli del cibo (che magari rifiutano), una sigaretta, una birra. L’immagine comune che abbiamo del clochard è questa e non ci interessa quale sia la ragione per cui si trovano in mezzo ad una strada.
Forse dovremmo interrogarci di più sul perché le vite di questi uomini e donne sono arrivate a toccare il fondo o forse dovremmo accettare che una parte di loro questa vita la sceglie, e capire a come ci sono arrivati neanche loro saprebbero cosa rispondere.
In 8 anni di vita trascorsa a Roma ho visto la città più bella del mondo sgretolarsi nella miseria e disperazione. La figura del clochard era quella dello spacciatore, del ladro. Oggi non sono solo loro a riempire gli angoli della stazione. In loro dovremmo immedesimarci e provare comprensione e anche rabbia per un’ingiustizia che stanno subendo. Un’ingiustizia che un giorno potrebbe toccare a noi, perchè no?
D’altro canto è personalmente difficile immedesimarsi in chi sceglie quella vita o la subisce come conseguenza di un’esistenza “sballata”. Quale immedesimazione dovrei provare nel vedere un tossicodipendente che si inetta del metadone nelle vene con bambini di una scolaresca poco distanti da lui? Perdere il controllo della propria vita è scelta nostra.
Questa è solo una delle storie raccontate dal regista Bartolomeo Pampaloni, il cui docu-film di strada Roma Termini ha conquistato il Festival del Cinema di Roma 2014. Nessuna compassione da parte del regista ma una cruda e onesta rappresentazione della realtà di questa fetta sociale, apparentemente invisibile ma sempre più consistente.
Per capirli davvero bisognerebbe conoscere ognuna delle loro storie, perché solo da lì può partire quell’immedesimazione che Pampaloni ci chiede. Lui di tempo ne ha speso molto con loro ascoltandoli e loro come un fiume in piena si raccontano senza filtri. Il taglio che ne esce fuori è netto in cui i “personaggi” entrano a contatto diretto e di cui si cui mostra “la profonda umanità, la quotidiana sofferenza, la genialità, la follia nella radicalità di una simile vita, voluta o subita che fosse”.
La stazione da luogo di passaggio a luogo di vita, dove storie di sconosciuti si intrecciano e diventano storie comuni. Un documentario di strada le riprende, senza retorica, nella loro normalità e quotidianità di individui, che come tutti si pongono domande esistenziali sulla vita, sulla morte, sulla famiglia, con cui la maggior parte da anni ha chiuso i rapporti. E loro, Stefano, Angelo, Tonino e Gianluca “scompaiono” nell’anonimato e nella solitudine come tutti gli altri.
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