La retorica politica della paura
Dalla Jihad all’omosessualità, dall’Europa a calciopoli: tutti i temi che fanno paura agli italiani e tanto cari alla politica dei talk show
di Raffaele Meo
Una settimana abbastanza calda quella appena conclusasi, non c’è che dire. L’attentato a Parigi ha risollevato ancora una volta discussioni sui massimi sistemi e tutti, con diversi gradi di coinvolgimento, abbiamo capito una cosa: abbiamo paura.
La paura è uno dei sentimenti più profondi e primitivi della natura umana: a livello cerebrale ha sede in una delle parti più interne, l’amigdala, considerata tra le porzioni di cervello più antiche, ereditata direttamente dai nostri primi antenati preistorici.
Perché dico questo, si chiederà il gentile lettore, cosa ha a che fare la paura con la politica? La risposta è davvero semplice quanto, ahimè, triste: la politica moderna si nutre esclusivamente della paura dei cittadini. Ricolleghiamo un po’ di cose.
L’attentato alla redazione del giornale satirico francese Charlie Hebdo ha scatenato, oltre al cordoglio per le vittime, una marea di polemiche e discussioni che, definirle da bar, appare piuttosto riduttivo. Abbiamo assistito impotenti alle dichiarazioni di personaggi politici o meno, all’infuriare dei commenti sui social network, all’impazzare dei talk show.
Raccontare cosa fosse accaduto era un dovere del mondo dell’informazione e, a dire il vero, in buona parte è stato fatto. Il problema è, come sempre, che dopo un dato evento non si può controllare cosa accadrà dopo. Ricordo perfettamente che durante il fine settimana mi sono ritrovato, mio malgrado, coinvolto in una discussione che si può riassumere tranquillamente in “I musulmani sono tutti pericolosi?“.
Sono rimasto piuttosto perplesso nell’affrontare una simile discussione, ma mai avrei immaginato che il giorno dopo avrei letto sui giornali lunghissime discussioni affini e soprattutto che un segretario di partito ne facesse manifesto elettorale. Stiamo purtroppo parlando di Matteo Salvini che, durante il week end, ha distribuito le vignette sull’Islam del giornale francese ai cittadini milanesi nei pressi del Palasharp, luogo ove la giunta “rossa” (epiteto affibbiato da alcuni giornali nazionali) del sindaco di Milano Giuliano Pisapia sta pensando di permettere la costruzione di una moschea.
Su “il Giornale” il leader della Lega Nord ha poi rincarato la dose, ricordando a tutti il suo impegno per contrastare l’immigrazione dei musulmani in Italia, facendosi unico alfiere del buon senso nel combattere un fenomeno così pericoloso, sotto gli occhi di tutti, ma per il quale nessuno, sempre a suo dire, fa alcunché.
Sunto della discussione: i musulmani sono terroristi, quindi sono pericolosi, quindi vanno espulsi o almeno controllati. Un sillogismo inappuntabile.
Così, invece di esprimere cordoglio per le vittime, invece di riflettere su un problema, attenzione, quello dell’integralismo religioso, il mondo si è trovato a riflettere su un argomento totalmente errato: la pericolosità dei musulmani. Questa frase è talmente piena di errori logici e semantici da fare paura. E parliamo di paura vera, di orrore, non di una banale sensazione inculcataci ad arte.
Parlo di “inculcare la paura“, perché è quello che sta accadendo. Il mondo politico si è scagliato su questa vicenda solo per destare paura in tutti noi. Politici apatici sono resuscitati improvvisamente per dire la loro, da “portiamo Charlie Hebdo in Italia” della Santanchè a “Per anni sono stato nel mirino dei terroristi islamici per la ‘colpa’ di aver denunciato con una maglietta i rischi del fanatismo religioso” di Calderoli.
Campagna elettorale permanente: solo con questo termine tanto caro agli studi sulla comunicazione politica si può capire il perché di tutto ciò. Viviamo perennemente immersi in un clima da campagna elettorale, dove ogni questione si trasforma in un’occasione per racimolare consensi. Al posto della dialettica politica, quindi, ci vediamo sopraffatti da slogan elettorali della più becera specie che non mirano a trattare un argomento, quanto a stigmatizzarlo e stereotiparlo, in modo che tutti possano accettarlo acriticamente. E’ il contrario della democrazia, è niente di meno che propaganda, al pari dei cinegiornali di epoca fascista.
Dobbiamo avere paura e a dircelo sono loro, persone che hanno già pensato al posto nostro e ci forniscono la soluzione. Attenzione, LA soluzione, perché la presenza di alternative, si badi bene, non è contemplata. Del resto non deve esserci alternativa ad un forte senso di insicurezza e paura, perché noi dobbiamo giungere alla conclusione che solo votando questo o quel candidato la nostra vita potrà essere tutelata. La paura genera voti: questo l’amaro risultato, quindi quanta più paura su un argomento si può inculcare, maggiore sarà il numero dei consensi.
Ricordate la discussione sulle coppie omosessuali? I panorami che ci venivano presentati erano solo due: una situazione di normalità banale, come se la legalizzazione delle coppie fra persone dello stesso sesso non cambiasse assolutamente nulla, in nessun campo; uno scenario apocalittico dove i gay avrebbero conquistato il mondo e messo in minoranza gli eterosessuali, violentando bambini e picchiando gli anziani all’uscita della messa. Paura di “questi gay”, insomma, creature feroci pronte alla distruzione della nostra società: il contrario di quello che si cercava di fare.
Discorso simile si può fare per l’Europa, tramutatasi da salvatrice della nostra nazione, un bene per noi e per i paesi a noi vicini, secondo le narrazioni delle prime ore, a un demone assetato dei nostri soldi, che non vuole altro che ridurci in povertà. È stata la campagna di Tsipras alle europee, come di tutti gli euroscettici. Trasformare un’opinione sull’operato di un ente sovranazionale, assolutamente legittima, in un generatore di paure è un colpo basso alla democrazia del continente intero. Ciò però ha fruttato voti e qualche seggio in Parlamento, quindi va bene.
L’ultima mia riflessione vuole essere una provocazione. La sconfitta del Napoli da parte della Juventus nella Serie A di calcio ieri ha scatenato la reazione del presidente del club campano Aurelio De Laurentis, il quale ha parlato di brogli ai danni della sua squadra perpetrati dal solito sistema corrotto di “juventopoli”, che tanto male ha fatto al nostro calcio. Tirare in ballo lo scandalo sulla Juve ad ogni partita persa e ad ogni giudizio arbitrale considerato ad essa favorevole serve a perpetuare il senso di incertezza ed insicurezza in tutti i tifosi: “La mia squadra potrà mai vincere se il campionato è sempre falsato? Odio la Juventus perché trucca le partite, quindi faccio il tifo contro di essa a prescindere, perché sono dei ladri“. Un ragionamento che, giusto o sbagliato che sia, nel mondo del calcio e del tifo ci può anche stare. La domanda è: possibile che il dibattito politico nel nostro Paese sia pari alla bagarre fra presidenti di squadre di calcio?