Quirinale, elezione in incognito
Nessun nome e dichiarazioni aleatorie da parte di quasi tutti i leader politici. E Renzi dice: nelle 24 ore precedenti al primo voto formalizzeremo la proposta del PD
di Marco Assab
A dieci giorni dal primo scrutinio per l’elezione del dodicesimo Presidente della Repubblica Italiana, il quadro politico estremamente frammentato, reso altresì aspro dal difficile percorso delle riforme intraprese dal governo, non consente in alcun modo di perder tempo in toto-nomi e toto-sciocchezze varie. Anche perché, la storia recente ce lo insegna (Papa Francesco ad esempio), i giornali non ne indovinano mai una, vendono magari qualche copia in più, ma anziché informazione offrono al pubblico banali romanzi a tinte gialle.
Tuttavia le osservazioni da muovere sono molteplici e consentono di tracciare una analisi di ampio respiro. Per la prima volta nella storia della Repubblica sarà il medesimo Parlamento della precedente elezione a scegliere un secondo capo dello stato. La nostra costituzione prevede che il mandato delle due camere duri 5 anni, mentre quello del PDR 7, proprio per evitare che il Parlamento nella sua stessa composizione possa votare più di un presidente. Tale situazione è inevitabile viste le dimissioni anticipate di Giorgio Napolitano. Eppure rispetto all’elezione del 2013 il quadro appare molto diverso. Le persone sono le stesse ma le “maglie” no, gli equilibri sono mutati.
La questione dei numeri, che ben poco ha di idealistico ma molto di realpolitik, va inevitabilmente affrontata. Chi ha in questo momento il timone in mano? Indubbiamente Matteo Renzi. Dei 1008 grandi elettori (ricordiamo che il PDR viene eletto dalle due camere in seduta comune, più 3 delegati per ogni regione, salvo la Valle d’Aosta che ne designa solo uno) il Partito Democratico può contare su 446 parlamentari, Forza Italia 143, il M5S 136, NCD 63, Lega 39, Scelta Civica 33, Sel 34, Per l’Italia-Udc 28, Autonomie-Psi-Pli 28, Grandi autonomie e libertà 15, Fratelli d’Italia 9, Indipendenti 8 e, attenzione, 26 sono gli espulsi dal M5S dei quali risulta difficile al momento prevedere scelte e strategie.
Nella direzione svoltasi Venerdì 16 Gennaio, il segretario del Pd è stato piuttosto chiaro: la partita si può chiudere celermente. Per i primi tre scrutini è previsto il quorum dei 2/3, quindi 673 voti, ma dal quarto scrutinio è sufficiente solo la maggioranza assoluta, dunque 505 preferenze. Ecco che quest’ultimo traguardo, alla luce dei 445 voti di partenza, appare tutt’altro che irraggiungibile per Renzi. Se non fosse però che il Presidente del Consiglio deve fare i conti con una tenace e recalcitrante opposizione interna.
Qui il filo dell’elezione al Quirinale si intreccia inevitabilmente con quello delle riforme. Alla sinistra del Pd non piace l’attuale formulazione dell’Italicum (la nuova legge elettorale), che però Renzi vuole far passare prima dell’elezione presidenziale. Benché dunque il segretario democratico voglia tenere i due discorsi separati, il nodo dei capilista bloccati e del dissenso su questo punto della minoranza Pd potrebbe rappresentare uno scoglio, una insidia. Il lettore ricorderà certamente cosa accadde nel 2013. Il povero Bersani si trovò a dover gestire una situazione pazzesca e quanto mai imbarazzante. I nomi di Franco Marini e Romano Prodi fatti fuori da “franchi tiratori” scatenati, il Pd lacerato, l’inizio della fine per la sua segreteria.
Renzi dunque non può in alcun modo permettersi di subire uno smacco analogo, dopo essersi sforzato finora di mantenere salda e coesa la sua formazione politica, ed aver avviato un percorso di riforme che, seppur tra mille ostacoli, va avanti in stile panzer tedesco nella foresta delle Ardenne (riferimento alla seconda guerra mondiale). L’elezione del PDR si configura dunque come un test per il suo partito e per il suo governo, sono in gioco unità e credibilità.
Interessante dunque la strategia del Presidente del Consiglio: nessun nome fino alle 24 ore precedenti al primo voto. Nessun rischio dunque di “bruciare” candidati e di mostrare le carte agli avversari. Inoltre la direzione rimane convocata in maniera permanente, gesto di buona volontà per mantenere aperta la discussione con la minoranza interna. Sul fronte esterno il dialogo è aperto con tutti, e se con Berlusconi questo si può considerare oramai ben avviato (vedi patto del Nazareno), sul fronte Grillo pare che ancora una volta il M5S manterrà un atteggiamento isolazionista. Il post sul blog del leader cinquestelle che parla di “mercato delle vacche” dovrebbe lasciare ben poche illusioni anche ai democratici più speranzosi ed inclini al dialogo.
Quanto alle dichiarazioni degli altri leader politici, esse lasciano il tempo che trovano e, alcune, fanno proprio sorridere. Salvini chiede che non sia un altro di sinistra, bensì uno libero, indipendente. Non riusciamo a comprendere bene cosa voglia dire “un altro di sinistra”, perché negli ultimi 30 anni solamente Giorgio Napolitano veniva da una storia politica di sinistra; Cossiga era della Dc, Scalfaro idem, Ciampi era un indipendente, quindi non sembra proprio che la Repubblica Italiana abbia fatto indigestione di comunisti. Prima di Cossiga poi ci fu Sandro Pertini, del Partito Socialista, che nella memoria collettiva del popolo italiano è ricordato con l’appellativo di “Presidente più amato”.
Gli altri appelli alla scelta dell’uomo lontano dai partiti cozzano con la storia della nostra Repubblica. In 70 anni, ad ogni elezione, si è sempre cercato l’uomo celebre e fuori dalla politica, ma i risultati sono sempre stati piuttosto poveri. Solamente Ciampi era un indipendente. Piuttosto che avanzare poi candidature stravaganti, come ha fatto il M5S nel 2013, o sostenere a priori di non volere un politico, sarebbe opportuno concentrarsi sulle qualità che servono in questo momento al Paese in quello specifico ruolo.
Interessante a tal proposito quanto affermato da Gianni Cuperlo in un’intervista concessa a Repubblica: “serve uno che se chiama la Casa Bianca non deve presentarsi, se chiama Berlino, Bruxelles o Francoforte non deve spiegare chi è. È così, inutile girarci attorno, deve avere quello standing. Una personalità che non sia esposta a particolari polemiche e non sia vissuta come un’offesa da nessuno”.
Concludiamo con una amara riflessione: la notizia circa le gravi condizioni di salute di Emma Bonino ci rattrista profondamente per due motivi. Il primo è inevitabilmente quello umano. Il secondo riguarda proprio l’elezione al quirinale. Se si vuole assecondare la suggestione del “presidente donna”, non andrebbe mai eletta una donna solo perché tale, andrebbe altresì eletta una donna perché realmente capace di fare il Presidente. Chi meglio di Emma Bonino?
(fonte immagine: blogosfere.it)