Migranti, la grande fuga

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Il sistema dell’accoglienza è fuori controllo: si sono perse le tracce di 100mila migranti

di Guglielmo Sano

migranti in fuga lampedusaUn’inchiesta de L’Espresso, a firma di Fabrizio Gatti, mette in luce le falle di un’accoglienza sempre più “all’italiana”. Immagini inoppugnabili, che riguardano il CARA (Centro Accoglienza Richiedenti Asilo) di Bari, mostrano come sia facile “evadere” da una struttura dello stato, anche di fronte agli occhi di una ronda dell’esercito.

Le immagini in questione risalgono alla mattinata del 14 gennaio ma, come riferisce lo stesso Gatti, “era così anche dieci minuti fa, un’ora fa, stamattina presto, stanotte, ieri sera, ieri pomeriggio, ieri mattina. Decine e decine di stranieri fuggono a ogni ora del giorno e della notte dal centro che dovrebbe registrare la loro presenza in Italia”.

A far male, non è tanto il fatto di vedere 7 uomini (tra africani e asiatici) fuggire, “evadere”, scavalcando agevolmente le sbarre divelte di una recinzione di 4 metri e mezzo. No, perché nessuno può essere certo che, nella loro stessa condizione, non si sarebbe comportato in modo simile. Quello che fa più male è vedere il personale preposto al presidio di una struttura dello stato – dunque, preposto a far rispettare la legge – non fare assolutamente niente.

D’altra parte non sarebbe giusto nemmeno scaricare completamente la colpa sui due militari che vedono ma non agiscono, come si vede dalle immagini. Appare chiaro che quella situazione non è per niente al di fuori dall’ordinario, al contrario: è la consuetudine. Una consuetudine dettata dall’inconsistenza dei diversi piani dell’amministrazione statale.

È consuetudine anche che “altri profughi, sbarcati addirittura nel 2011, a Bari usano il Cara per mangiare, dormire, farsi la doccia. Loro si arrampicano sulla recinzione due volte al giorno. Andata e ritorno”. Nessuna organizzazione e nessun controllo, né su chi entra né su chi esce: “perfino gli imam, quelli autoproclamati che nessuna moschea ufficiale riconosce, entrano a predicare il loro Islam. E, quando hanno finito, escono indisturbati”.

Dopo la strage di Parigi e quella, invece, sfiorata in Belgio, in tutta Europa l’allerta terrorismo è massima: “i rifugiati non sono criminali. Ma in tempi di massima allerta, registrare l’identità di chi entra in un Paese è il minimo indispensabile. Per avere il quadro della situazione, prevenire i rischi”.

Fare un “quadro della situazione”, in Italia, è al momento impossibile. Su 170.816 profughi sbarcati sulle coste della penisola nel 2014 (secondo i dati del Viminale: quattro anni fa erano poco più di 64mila) solo 66.066 risultano registrati e ospitati nei centri di “accoglienza”. Dove sono finiti gli altri 104.750? Tanto per fare degli esempi: su 51.956 siriani sbarcati nel 2014, solo 505 hanno richiesto protezione in Italia.

Percentuali bassissime al riguardo si riscontrano anche per eritrei (solo 480 su 43.865) e somali (812 su 8.152). La maggior parte dei siriani, degli eritrei e dei somali prova ad andare in Germania e Svezia: alcune volte vengono respinti all’interno dei confini italiani, altre volte il confine italiano non riescono nemmeno a passarlo.

Allora restano, senza permesso di soggiorno, oppure con il permesso di soggiorno ma senza un lavoro regolare. Almeno 3mila sono a Roma costretti a elemosinare sotto i portici della Stazione Termini o a spacciare al Pigneto. Cinquemila dovrebbero trovarsi tra la Provincia di Napoli e quella di Caserta, 750 al villaggio olimpico “occupato” di Torino, almeno 500 nel ghetto di Rignano Garganico, baraccopoli di braccianti e caporali nella campagna foggiana.

Prima i profughi uscivano dai CARA con un permesso di soggiorno (o con un decreto di respingimento) e quindi si spostavano per cercare lavoro ma, con una recessione che miete mille posti di lavoro al giorno, meglio restare vicino ai centri ed elemosinare un pasto a chi ancora gode dell’accoglienza dello stato.

A partire dal 2011, con l’approvazione dei decreti sull’Emergenza Nord Africa (volti a sostenere chi fuggiva da Tunisia e Libia, sconvolte dalle rispettive “primavere”), l’accoglienza è costata alle casse dello stato ben 2 miliardi 287 milioni 851 mila euro: 483 milioni soltanto nel 2014 per vitto e alloggio, più 117 milioni e mezzo per l’operazione “Mare Nostrum”. Ad approfittare di questa pioggia di denari alcuni privati, ai quali le prefetture affidano i servizi di accoglienza con procedure “straordinarie”. I risultati di questa scelta sono ormai drammaticamente evidenti.

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