Chi non sta dalla parte di Charlie Hebdo
Manifestazioni e proteste contro l’Islamofobia: prolifera l’anti-Charlie Hebdo
di Sara Gullace
Che non potessimo essere tutti Charlie, è stato abbastanza evidente da subito. A poche ore dall’attentato che ha segnato l’inizio del nuovo anno, la Francia si è riversata nelle sue piazze e nelle sue strade in nome di libertà e fraternità. E ha ricevuto messaggi di solidarietà da ogni latitudine: per la libertà di opinione o per dire no al terrorismo, in qualche caso semplicemente per rispetto davanti al lutto.
Molti, moltissimi sono diventati Charlie ma tanti altri hanno fatto capire che esprimersi si può sì, ma senza oltrepassare certi limiti. Alcuni, ancora, ci hanno detto che se questi stessi limiti vengono superati, allora sì, è lecito aspettarsi qualche brutta sorpresa. E quindi no, non si può essere tutti Charlie.
Contro Charlie si può anche andare. Il fine settimana di metà Gennaio è stato ricco di proteste, violenza e, in Niger, anche di morte. Ribellioni e assalti sono iniziati all’indomani dell’ultima copertina di Charlie Hebdo, uscita con un Je suis Charlie per bocca di Maometto, e si sono protratti e inaspriti per diversi giorni. Dopo aver fortemente disapprovato l’attacco terrorista, il mondo musulmano ha alzato la voce. Contro quella che ritiene un’offesa al proprio credo o per ribellarsi a una solidarietà estranea, vissuta come discriminante ed escludente.
Mentre la Comunità Europea discute sulle misure anti terroristiche nazionali e comunitarie da intraprendere, nasce L’Anti Charlie, ben presto manifesto in Medio Oriente, Africa del Nord ed Est -Europa. In forme più o meno tragiche.
Censura, minacce e proibizioni sono state le modalità più pacifiche con cui parti politiche, governi e gruppi estremisti hanno ostacolato quanti appoggiassero la redazione di Hebdo in Turchia, Israele, Iran, Tunisia, Russia e Marocco. Il giornale turco Cumhuriyet, d’opposizione, ha dovuto chiedere il permesso alla polizia nazionale per pubblicare la vignetta francese in segno di solidarietà per incorrere, poi, in telefonate di minacce e avvertimenti. Come per i vignettisti Penguan e Leman.
“Infedeli” sono stati definiti da un’organizzazione islamica locale due giornalisti tunisini: minacciati personalmente, non hanno trovato la protezione della polizia. Simile sorte per la redazione del quotidiano progressista di Hareetz, in Israele: tra le parti politiche c’è stato chi ha auspicato che i suoi giornalisti “venissero ammazzati come i francesi, con l’aiuto di dio”.
In Russia satira e caricature a sfondo religioso sono state messe al bando, identificate come pubblicazioni estremiste direttamente dall’organo ufficiale di comunicazione, l’Agenzia federale. Divieto di uscire in edicola, invece, per tre giornali marocchini che avevano dimostrato solidarietà ad Hebdo riproducendo la sua vignetta incriminata. Il ministro della comunicazione El Khalfi ha precisato come: “la blasfemia non ha niente a che vedere con la libertà d’espressione“.
In nord Europa, il giornale belga Le Soir ha subito intimidazioni telefoniche durante la veglia di commemorazione mentre in Germania, ad Amburgo, il Morgenpost ha pagato con le cantine incendiate la solidarietà a Charlie.
Manifestazioni intense e tese ma senza scontri nella capitale cecena di Grozny. Piazze colme di fedeli in nome dell”Amore per Maometto” hanno protestato contro “chi offende i sentimenti religiosi dei musulmani in tutto il mondo. Contro chi alimenta l’odio religioso ed interetnico”, nelle parole del Primo Ministro Ramzán Kadírov.
Così come a Teheran, dove gli iraniani hanno espresso il proprio dissenso al cospetto dell’Ambasciata francese. “Io sono Charlie”, è diventato “Io sono Kouachi”, gridato in strada da duemila persone. Solidarietà per i fratelli Kouachi, anche a Istanbul: l’Islam radicale si è riunito “per protestare contro l’insulto nei confronti del nostro profeta e pregare per i nostri due fratelli”. Tricolori francesi in fiamme a Gaza dove forti sono state le minacce dei radicali islamisti: “Allontanatevi da Gaza o vi uccideremo”, gridato al centro culturale francese.
Sono finite nel sangue, invece, le manifestazioni in Pakistan e in Niger. A Peshawar, circa duecento cinquanta militanti islamici hanno protestato davanti a chiese e consolato francesi al grido di “Morte alla Francia”, “Morte a Charlie”: al terzo giorno di protesta un giornalista francese è rimasto gravemente ferito.
Ma è in Niger dove la ribellione è stata drammatica: 10 i morti, 170 i feriti, una cinquantina le chiese date alle fiamme, e diversi bar, alberghi e scuole occidentali presi d’assalto. Per la capitale Niamey e Zinder, nel sud del Paese, si sono vissuti giorni di terrore: i cittadini cristiani del luogo sono stati a lungo sotto protezione militare.
Episodi d’odio e violenza che rimbalzano da una parte all’altra senza fine, alimentati da uno scenario di discriminazione di fondo. La strage di Hebdo non ha fatto che aumentare una tendenza già forte in Francia: vandalismo e violenza anti-islam. Luoghi di culto e di ritrovo, moschee presi d’assalto: sono già 116 gli episodi registrati dall’osservatorio contro l’Islamofobia. “Una situazione ormai inammissibile – secondo Abdallah Zekri, presidente dell’Osservatorio – per la quale chiediamo l’intervento immediato delle istituzioni”.
Ed il primo a riconoscere la veridicità di questa situazione è lo stesso Manuel Valls, Primo Ministro francese, che nei giorni scorsi ha parlato senza mezzi termini di ghetti. “Un apartheid territoriale, sociale ed etnico – ha dichiarato – a cui si aggiungono sessismo, classismo e discriminazione razziale”. Insieme al Presidente Hollande, ha risposto alle preoccupazioni dell’Islam francese ribandendo la necessità di ridefinire il concetto di cittadinanza e nazionalità a prescindere da origina etnica o credo religioso.
Parole significative: quali soluzioni seguiranno? L’intervento “urbano” sulle banlieu, dopo il 2005, è già stato tentato: ma i “ghetti” sono ancora qui.
(fonte immagini: http://economictimes.indiatimes.com/, http://www.quotidiano.net)