Movimento 5 Stelle, quella partita giocata a bordocampo
Il Movimento 5 Stelle si chiama fuori dal voto per il Quirinale. Ma la vocazione all’irrilevanza non può durare per sempre
di Ivana Giannone
Tre fischi dell’arbitro e la partita è già finita. Questa volta il Movimento 5 Stelle aveva dato l’impressione di volerla giocare per tutti i novanta minuti, ma alla fine la sensazione generale è di una squadra che resta ai margini, in divisa da rugby, mentre gli altri escono dal campo in tacchetti e calzoncini.
L’elezione del Presidente della Repubblica per i pentastellati ha il sapore di un’occasione mancata. Dopo l’ultima emorragia di parlamentari e le polemiche sulla gestione padronale del partito che partito non è, fare la differenza nel voto per il colle avrebbe significato mettere in crisi in un colpo solo il Patto del Nazareno e lo stesso Partito Democratico, già diviso sulle candidature.
Dopo l’immancabile streaming della vigilia, lo stesso Alessandro Di Battista aveva annunciato che di certo nella lista da mettere ai voti sul blog non sarebbe mancato Romano Prodi, punta di diamante di Pippo Civati e dei dissidenti Dem.
Certo, quello di uno dei più accaniti sostenitori dell’Euro non è il primo nome che ci si aspetterebbe dal movimento di Grillo. “Bisogna pensare con il cuore, ma anche a spezzare il patto del Nazareno con il piduista Berlusconi” aveva chiarito Di Battista, mettendo sul piatto, forse per la prima volta, una lampante tattica politica.
L’idea di rigiocare la carta del Professore, neanche a dirlo, avrebbe potuto mettere il Pd nella scomoda posizione di rinnegare uno dei suoi fondatori, riportando l’orologio indietro di due anni, all’elezione che aveva consacrato i 101.
Un’idea in teoria neanche troppo fantasiosa, in pratica affossata dai suoi stessi creatori. Dal cilindro dello streaming, infatti, salta fuori un altro nome caro alla “ditta” democratica, l’ex segretario Pier Luigi Bersani.
Non è un caso che Ulisse sia entrato a Troia con un solo cavallo di legno e non con un’intera scuderia. Che due nomi con la stessa provenienza politica potessero creare confusione sulla linea scelta e disperdere voti a favore di un terzo litigante era un’ipotesi prevedibile, quasi una certezza. Una certezza che avrebbe potuto essere scongiurata soltanto da una visione politica esperta, non intaccata da radicalismi esasperati, rispettosa delle opinioni di tutti, ma anche capace di far riflettere un’assemblea sull’opportunità di portare avanti la vocazione all’irrilevanza.
Il primo classificato alle quirinarie del Movimento 5 Stelle è Ferdinando Imposimato (16.653 voti), seguito da Romano Prodi (10.288). Pier Luigi Bersani (5.787) arriva quarto. I voti dei candidati Dem sommati mancano di appena 600 unità la vetta della classifica. E la tentazione di chiedersi come sarebbe andata presentando un solo “guastafeste”, e spiegando ai votanti lo scopo di sparigliare, è forte.
Nel segreto, ma non troppo, del catafalco elettorale le schede pentastellate si allineano al volere della rete, come dimostrano i video e le foto diffusi e ritirati a stretto giro dai parlamentari-cittadini.
Alla quarta elezione l’aula proclama Sergio Mattarella dodicesimo Presidente della Repubblica. È il gol di rovesciata del premier Matteo Renzi.
Durante il giuramento del Presidente dai banchi del Movimento 5 Stelle, però, si levano applausi convinti, accompagnati una lettera di benvenuto postata da Beppe Grillo sul suo blog.
Una reazione all’apertura di Mattarella, che durante il suo discorso ha plaudito ai “giovani parlamentari” che portano in aula “l’indignazione dei propri coetanei”? Oppure un primo passo in vista di strategie più di testa e meno di pancia?
Perché un elemento nuovo da questa elezione è uscito. Il patto del Nazareno, da quasi un anno stampella del Pd renziano per approvare le tanto sospirate riforme, sembra rotto, o quantomeno congelato.
I numeri, però, rimangono traballanti e le minoranze Pd mantengono posizioni di diffidenza su punti chiave dei progetti renziani, come la legge elettorale.
Il momento appare ideale per inserirsi nella scena politica come quel “terzo forno” ipotizzato da più parti. Certo, per farlo i grillini dovrebbero rinunciare a certe posizioni caustiche, all’idea che raggiungere un compromesso è un po’ come vendere l’anima al diavolo. Dovrebbero prendere consapevolezza di essere una minoranza cospicua, ma destinata a rimanere ininfluente fino a quando non si siederà ad un tavolo con chi in questo momento dà le carte.
E destinata, come nell’ultima tornata elettorale, a perdere i consensi di tutti quei votanti, indignati sì, ma fiduciosi di portare nella dialettica politica, e magari risolvere, affanni e problemi quotidiani.
Perché restituire lo stipendio è senza dubbio un gesto nobile e in controtendenza, ma ancora più nobile sarebbe fare la differenza, per guadagnarlo quello stipendio.
Pena l’irrilevanza eterna e un posto da titolari solo in tribuna.
(fonte immagine: ilfattoquotidiano.it)