Ambiente, inquinare sarà un “delitto”
Dopo un anno di permanenza in Commissione, il testo che introduce 4 nuovi reati ambientali nel Codice Penale passa all’esame del Senato
La legge italiana in questo momento non protegge la salute pubblica. Aria, acqua e sottosuolo, non sono posti sotto tutela penale. La maggior parte degli illeciti commessi contro l’ambiente, infatti, appartiene all’ambito delle contravvenzioni – e non a quello più grave dei “delitti).
La pena massima prevista per chi inquina è di 3 anni; nella pratica significa altissima probabilità di non scontare un solo giorno di carcere. Inoltre non sono previsti né l’arresto in flagranza di reato da parte della polizia giudiziaria, né la disposizione di misure cautelari personali o intercettazioni da parte della magistratura. Ancora più devastante l’effetto collaterale legato alla prescrizione: per i “reati ambientali” è di soli 5 anni (vedi sentenza Eternit).
La proposta di legge che introduce nel codice penale “nuovi” reati ambientali – varata lo scorso 26 febbraio dalla Camera, dopo un anno di permanenza in Commissione, martedì passerà all’esame del Senato – dovrebbe migliorare la situazione.
Il Ddl prevede 4 nuovi reati: disastro ambientale (carcere da 5 a 15 anni), inquinamento ambientale (reclusione da 2 a 6 anni), traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività (carcere da 2 a 6 anni), impedimento del controllo (pena detentiva da 3 a 6 mesi). Nella legge è previsto, oltre al pagamento di pesanti sanzioni pecuniarie, anche il ripristino degli ecosistemi danneggiati. In più, la confisca dei beni delle ecomafie sarà reso più semplice dal punto di vista burocratico.
La nuova legge era stata richiesta a gran voce da 25 associazioni ambientaliste capeggiate da Legambiente e Libera con una petizione, pubblicata sulla piattaforma Change.org, in cui si sosteneva che “l’Italia ha bisogno di una vera e propria riforma di civiltà, che sanerebbe una gravissima anomalia: oggi chi ruba una mela al supermercato può essere arrestato in flagranza perché commette un delitto, quello di furto, mentre chi inquina l’ambiente no, visto che nella peggiore delle ipotesi si rende responsabile di reati di natura contravvenzionale, risolvibili pagando un’ammenda quando non vanno, come capita molto spesso, in prescrizione”.
Dopo un rinvio, martedì la nuova legge sulla tutela dell’ambiente sarà esaminata dal Senato; nessun allarme da Legambiente e Libera, ma “non si vada oltre” hanno dichiarato dalle due associazioni, precisando però come sia “importante che in aula vengano corrette quelle modifiche che hanno peggiorato il Ddl, a partire dalla non punibilità per chi bonifica dopo un caso di reato colposo”.
È bene dire che le Commissioni riunite Ambiente e Giustizia hanno emendato la legge sciogliendo alcune criticità – è stata eliminata la condizione per la quale occorreva la previa violazione di norme penali o amministrative specificamente poste a tutela dell’ambiente da parte dell’inquinatore per poter configurare i reati di inquinamento e disastro ambientale; oggi è necessario e sufficiente che l’autore del delitto abbia agito “abusivamente”. Inoltre, è stata fatta salva l’applicabilità della vecchia normativa in materia di disastro cosiddetto “innominato” scongiurando così le conseguenze di un’effettiva “depenalizzazione” che avrebbe messo a rischio i processi in corso (in primis quello all’Ilva di Taranto) – tuttavia dei problemi potrebbero essere rimasti, come lasciano intendere da Legambiente e Libera, senza contare quelli creati dai nuovi emendamenti.
Al primo comma del neo-reato di “inquinamento ambientale”, per esempio, si afferma che, ai fini dell’integrazione dell’illecito, la compromissione o il deterioramento non devono più essere solo “rilevanti” ma “durevoli dello stato preesistente”.
Se si volesse interpretare l’espressione stato “preesistente” come stato “originario” la conclusione non potrebbe che essere una sola rileva, su Ilfattoquotidiano.it, Alberto Palmisano: “nel caso di immissione o sversamento in un terreno o in un fiume già, di loro, ampiamente “compromessi o deteriorati”, risulterebbe praticamente impossibile ritenere quei comportamenti (di volta in volta in questione, ndr) come “causa” di quella stessa compromissione o di quel deterioramento, già abbondantemente causati da altri prima dell’inquinatore di turno”. Tradotto in termini processuali, insomma, “il fatto non sussiste”.