Antonio G. Sangineto e Dolly, la pecora umana
Dopo il successo de “Il futuro nascosto” Antonio G. Sangineto torna in libreria con un nuovo coinvolgente romanzo, “Il riscatto di Dolly”, metafora della globalizzazione. Ne abbiamo parlato con lui in un’intervista
Regista e scrittore di sangue calabrese, romano di adozione, Antonio Ghilber Sangineto fa parlare di sé per il grande successo letterario dei suoi due romanzi, Il futuro nascosto (Gruppo Albatros il Filo, 2008, pp. 165), che ha contemplato la bellezza di otto ristampe, e Il riscatto di Dolly (Gruppo Albatros il Filo, 2014, pp. 183), che vede protagonista la pecora più famosa del mondo, Dolly.
Dopo aver conseguito la laurea con una tesi su Pier Paolo Pasolini all’Università di Bologna, Sangineto inizia a lavorare con i più grandi maestri del cinema italiano, diventando assistente alla regia di Mario Monicelli. Dal 1992 inizia a lavorare in RAI e collabora attualmente con RAICultura.
“Il riscatto di Dolly” è il suo secondo romanzo, in cui Sangineto sceglie di puntare i riflettori su Dolly, la pecora clonata nell’ormai lontano luglio del 1996 e che diventa, in queste pagine, non solo metafora della globalizzazione, come dirà l’autore stesso, ma anche metafora esistenziale, portandosi dietro tutto il peso dei dubbi con i quali gli uomini combattono da secoli.
Lo sfondo, molto realistico e ben delineato, della campagna scozzese abbraccia gli spostamenti di Dolly e dei suoi amici animali – Flash, Hermes, Ketty, Primo e Caruso, per dirne alcuni -, mentre il lettore si lascia cullare da una scrittura tanto soffice e leggera quanto ricca di riflessioni amare e pungenti.
Gli uomini – e la loro presunta intelligenza – vengono smascherati e derubati di quella ingombrante ipocrisia della vita che ristagna nella loro anima, anima di cui non sono certo sprovvisti gli ANIMAli (come suggerisce il nome stesso della specie), i quali regalano continui smacchi morali a dei bipedi che, pur avendo tutti i mezzi per migliorare la qualità della loro vita, altro non fanno che complicarla e imbruttirla.
Antonio G. Sangineto decide di raccontare il percorso evolutivo di questo testo, così ricco e complesso nella sua suadente e appassionante struttura romanzesca.
Antonio, tu esordisci con “Il futuro nascosto”, che ha avuto un enorme successo e un gran numero di ristampe ed ora torni in libreria con “Il riscatto di Dolly”, che sembra muoversi, anch’esso, sull’onda del successo. Da dove ha origine la spinta che ti ha portato a rendere protagonista, questa volta, Dolly, la pecora clonata che ha fatto scalpore in tutto il mondo?
L’idea mi è venuta mentre mi trovavo nel giardino di una mia amica a Fregene, che possedeva una pecorella e con la quale parlavamo della globalizzazione. Una volta a casa mi sono ritrovato a pensare proprio a Dolly, immaginando che potesse essere una metafora della globalizzazione e non solo, così mi sono tuffato nella stesura del romanzo.
Dolly, che sembra avere delle caratteristiche molto più umane degli umani stessi, diventa un po’ una metafora esistenziale, mentre esplicita tutti i dubbi che noi stessi ci poniamo. Qual è il senso intrinseco della frase finale che recita Dolly: “In questo mondo, la verità è nella bugia”?
Il senso è che il mondo cammina di fatto sulle bugie, nasconde la verità, conosciuta solo dai “signori della terra”. Anche le persone comuni, però, ricorrono spesso alla bugia, che usano come scusa per motivare l’infedeltà ad un impegno preso. Tant’è che Dolly dice a Flash, il cane di cui è amica, che dovrebbero fare Santo Pinocchio, perché i tantissimi bugiardi possano avere un protettore.
Il romanzo, che ha per protagonisti principali pecore, cani, pappagalli, colombi, gazze ladre e scimmie, lì per lì sembra rimandare a “La fattoria degli animali“ di George Orwell, soprattutto nella parte finale, quando Dolly decide di fare un Convegno con tutti gli animali del Regno Unito per punire gli uomini del maltolto che avevano fatto loro fino a quel momento. Ti sei forse ispirato a questo testo, pur, chiaramente, scansando qualsiasi tipo di volontà di riprodurre l’allegoria del totalitarismo sovietico ai tempi di Stalin?
No, non ho pensato assolutamente a La fattoria degli animali, anche perché, come ha rilevato qualcuno che ha lasciato su Ibs.it una recensione, La fattoria degli animali è monotematica, parla della dittatura di Stalin, mentre il mio romanzo tratta, come sai, diversi temi.
Ti sei laureato con una tesi sul cinema di Pasolini ed hai lavorato con i mostri sacri del cinema italiano. Quanto c’è, in questo ultimo romanzo, della tua formazione cinematografica? Ci sono elementi che possono tradire, in un certo senso, questa tua inclinazione per il mondo del cinema? Ad esempio la struttura stessa del romanzo, o il tipo di stile e di narrazione.
Trovo che la differenza tra narrativa e cinema sia nell’uso di tecniche diverse, ma non nello spirito sostanziale di ciò che si vuole comunicare.
Hai pensato ad una possibile trasposizione cinematografica de Il riscatto di Dolly? E, se sì, in quali termini?
No, soprattutto perché se ne potrebbe fare un cartone animato ed io ignoro la tecnica di questo genere di film. E poi il mio interesse si esaurisce con la fine di ciò che scrivo.
Visto il successo eclatante dei tuoi libri e considerando che – come hai detto in una intervista apparsa su Pirgy.it, a cura di Pierluigi D’Emilio – non credevi di avere la stoffa del romanziere, hai in progetto qualche altro romanzo? O magari vorresti sperimentare qualche altro genere letterario, come il saggio?
Ho in corso di stesura un romanzo su un tema che, purtroppo, è stato, è e sarà sempre caldo. Preferisco ancora non rivelarlo, per non essere preceduto da chi magari ha più tempo di me per scrivere e quindi lo brucerebbe. Grazie dell’intervista e ai potenziali lettori della stessa. Oltre, ovviamente, ai lettori dei mie romanzi.