Lampedusa, il sequel di un film già visto
Ennesima strage nel Mediterraneo, oltre 300 i morti. L’Europa dei grandi valori assiste quasi indifferente. E sullo sfondo di questo dramma si staglia la pericolosa avanzata dell’Isis in Libia, complicando ulteriormente la situazione
di Marco Assab
Il 27 Ottobre scorso pubblicammo su Ghigliottina.it un articolo dove evidenziavamo le differenze tra l’operazione “Mare Nostrum”, di marca italiana, e l’operazione “Triton”, di marca europea. Le regole di ingaggio della seconda dimostravano palesemente quanto l’Europa “dal braccino corto”, la stessa che si erge fieramente a tutela di un diritto fondamentale quale la libertà di espressione, non volesse proprio assumersi l’onere di difendere un altro diritto, ben più importante, il diritto alla vita.
L’Europa dei grandi valori, della Liberté, Égalité, Fraternité , assiste quasi immobile ancora una volta all’ennesimo dramma che si consuma nelle acque del Mediterraneo: oltre 300 i morti nel naufragio occorso all’inizio della scorsa settimana a largo di Lampedusa. Un film dell’orrore già visto. E poi le polemiche sterili, gli appelli al “fare di più”, le strumentalizzazioni politiche, la solita retorica insopportabile che fa da titoli di coda, prima che un altro “sequel” del film abbia inizio e altri 100 o 200 esseri umani anneghino in quella immensa tomba d’acqua. Di fronte a questa Europa ipocrita e inumanamente indifferente inorridisce chi ha ancora un briciolo di coscienza.
Questa Europa fredda e distaccata è la stessa che ha partorito una documento bellissimo: la Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Nel preambolo si legge: “L’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali della dignità umana, della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà”. Domandiamo, anzi, urliamo: di quale solidarietà si parla? Ed ancora, articolo 1: “La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”. Articolo 2: “Ogni persona ha diritto alla vita”. Questi diritti valgono solo per gli europei? O gli europei, in quanto custodi e promotori di tali diritti, devono adoperarsi affinché essi valgano per tutti gli esseri umani? Lasciamo al lettore la risposta.
I superstiti dell’ennesima strage raccontano di esser stati costretti sotto la minaccia delle armi ad imbarcarsi, su gommoni stracarichi, che non hanno resistito alla forza del mare. Fuggono da paesi nei quali infuriano guerre (Siria) o vigono dittature feroci (Eritrea), arrivano a pagare cifre astronomiche per salire su barconi fatiscenti ed andare incontro al mare, nel mese di Febbraio, insomma pagano per morire. È qui che si può comprendere la profondità del dramma.
Come abbiamo più volte già ribadito su queste pagine, l’Italia non può e soprattutto non deve farcela da sola. L’Italia ha già fatto il suo dovere con Mare Nostrum, giusto per dire che, qualche volta, si può legittimamente esser fieri di questo Paese un po’ scapestrato, come amiamo definirlo. Questi migranti si dirigono verso le sponde italiane solamente perché l’Italia è la frontiera sud dell’Europa. In realtà pochi di loro rimangono nel nostro Paese, si dirigono altresì verso il Nord Europa, dove nella maggior parte dei casi li attendono amici o parenti già inseriti. Lampedusa e la Sicilia non sono le frontiere italiane, bensì le frontiere europee. Escano dunque dal guscio dell’ipocrisia le istituzioni europee e si facciano carico una volta per tutte, in maniera adeguata, di questa situazione.
È impensabile che la prima economia mondiale, ossia l’Europa, non riesca a mettere a punto un efficiente piano di salvataggio, un’operazione umanitaria alla quale affiancare anche, ovviamente, misure di sicurezza (identificazioni etc.) per contrastare le possibili infiltrazioni di terroristi tra i migranti. Già perché, se fino a qualche mese fa tale eventualità appariva piuttosto remota, adesso lo scenario è totalmente cambiato.
Ragionevole il tweet di Matteo Renzi datato 11 Febbraio: “Strumentalizzare i morti è triste prima ancora che ingiusto. Il problema è la Libia, non Mare Nostrum o Triton”. Il problema in questo momento è proprio la Libia. Stato ormai quasi “fallito”, sta cadendo preda di bande armate che hanno iniziato ad adottare i vessilli dell’Isis. È di pochi giorni fa la notizia che i discorsi del sedicente califfo Al Baghdadi sono stati trasmessi alla radio a Sirte, città natale dell’ex dittatore libico Gheddafi. In realtà la situazione nella ex “quarta sponda italiana” è molto più complessa: manca un vero interlocutore politico, ci sono due governi e due parlamenti, poi un sottobosco frastagliato dove si collocano svariate milizie armate, differenti gruppi, sigle, rivalità tribali. Un caos.
Ecco dunque che l’emergere dell’Isis, da questo sottobosco libico, cambia radicalmente lo scenario del problema immigrazione. A questo punto, con i terroristi a sole 200 miglia marine di distanza, nessuno può escludere più il rischio di infiltrazioni. Se la risposta all’emergenza umanitaria dei migranti deve essere europea, la risposta al problema della Libia deve essere mondiale. Una risposta prima di tutto politica e diplomatica, perché si ha la netta impressione che questa ONU somigli sempre di più alla vecchia “Società delle Nazioni”, uno scatolone vuoto, che fu incapace di impedire l’escalation che condusse alla seconda guerra mondiale. L’Europa si faccia carico di salvare le vite dei migranti, il mondo fermi questa follia chiamata Isis.
(fonte immagine: http://www.vita.it/)