Pet therapy, il potere curativo degli animali
La pet therapy si diffonde sempre di più anche in Italia. La concezione dell’animale come terapeuta ha però origini antiche. Negli anni numerose ricerche scientifiche hanno dimostrato gli effetti benefici provocati dall’interazione uomo-animale
La pet therapy, o meglio definita, Terapia Assistita dagli Animali, assume sempre più importanza. La concezione dell’animale come terapeuta ha origini molto lontane. Fu il dottor Boris Levinson, neuropsichiatra infantile, che nel 1953 scoprì gli effetti positivi esercitati dal suo cane durante la terapia di un bambino autistico con cui non riusciva a stabilire un rapporto. L’animale interagì subito con il piccolo paziente che, per la prima volta, mostrò di provare un’emozione gioiosa, stabilendo un rapporto empatico con l’amico a quattro zampe.
Iniziano così le prime ricerche scientifiche sugli effetti degli animali in campo psichiatrico. Gli studi, ben presto, si estesero a numerosi altri settori quali la sindrome di down, le disabilità gravi, forme depressive, sindrome di Alzheimer e molti altri ancora. È solo nel 1961 che la pet therapy viene riconosciuta a tutti gli effetti come “tecnica di intervento terapeutico“, dove l’animale assume il ruolo fondamentale di mediatore emozionale.
Nel 1966 in Norvegia i coniugi Stordahl fondarono un centro di recupero per non vedenti, all’interno del quale utilizzavano cani e cavalli. Il centro è ancora oggi funzionante. Un veterinario francese, nel 1973 applicò la terapia con gli animali a bambini con gravi difficoltà di linguaggio e comunicazione, ottenendo sorprendenti risultati. Contemporaneamente negli Stati Uniti iniziano i primi programmi di pet therapy nelle carceri e nei manicomi criminali. Fu la dottoressa Erika Friedmann a dimostrare la correlazione tra il possesso di un animale da compagnia e la sopravvivenza in caso di malattie coronariche.
Finalmente nel 1987 anche in Italia viene introdotto il tema della pet therapy, se ne discute al Convegno Interdisciplinare su “Il ruolo degli animali nella società odierna”, in cui esperti internazionali si confrontano sull’argomento. Molti anni dopo le autorità politiche e il Ministero della Sanità riconoscono l’importanza di tale terapia, delle sue finalità e dei suoi scopi, legittimando l’uso degli animali e i programmi di ricerca.
Solo nel 2003 la pet therapy viene riconosciuta in Italia come cura ufficiale con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Il provvedimento inquadra l’attività nel contesto delle politiche sanitarie nazionali, si definiscono gli standard minimi di professionalità attribuendo garanzie sia ai pazienti sia agli animali. Per la prima volta nella storia del nostro Paese viene dunque sancito espressamente il ruolo che un animale può avere nella vita affettiva di una persona, nonché la reale valenza terapeutica.
Tuttavia, in Italia non esiste ancora una legislazione specifica in materia, numerose sono però le iniziative a livello regionale. Gli animali maggiormente impiegati in quella che viene definita la “terapia dolce” sono per lo più i cani, ma anche i gatti e i conigli. Il cavallo è il protagonista assoluto della riabilitazione e rieducazione motoria. L’impiego dei delfini su ragazzi autistici o con problemi di comunicazione e apprendimento e su adulti depressi ha portato a risultati inaspettati.
Nel nostro Paese l’attuazione di progetti terapeutici con animali coinvolge oggi diverse strutture pubbliche, con risultati decisamente positivi. A Roma la pet therapy si concretizza nella “fattoria degli animali guaritori” dell’Ospedale San Carlo di Nancy, dove il dottor Davide Moscato, direttore del Centro Cefalee Infantili, ha riscontrato che “pazienti con mal di testa associato ad ansia e depressione hanno dimezzato il consumo di farmaci e la frequenza degli attacchi è diminuita del 35% dopo poche sedute“. L’Ospedale pediatrico Meyer di Firenze attua Terapie Assistite con Animali all’interno del reparto di terapia del dolore.
All’Istituto San Giovanni di Dio di Genzano, alle porte della Capitale, gli anziani affetti da Alzheimer e altri tipi di demenza passano delle ore ogni settimana in compagnia non solo di cani e cavalli, ma anche di animali da fattoria. La Società Italiana Terapie e Attività con gli Animali ha curato un progetto per l’accoglienza di animali all’interno del carcere minorile di Casal Del Marmo di Roma, per offrire ai ragazzi occasioni di reinserimento sociale. Nelle carceri l’animale è, infatti, uno stimolo non solo alla socializzazione ma anche alla riduzione dell’aggressività interpersonale.
Chiara Catalani, veterinario comportamentalista che in prima persona ha vissuto molti percorsi terapeutici, spiega: “Quando il cane, il cavallo, l’asino e il gatto, sono educati e guidati ad operare nel modo giusto insieme al conduttore, possono fare miracoli“.
La pet therapy, dunque, utilizzando il linguaggio universale delle emozioni, ci arricchisce nell’ambito relazionale, ci fa entrare in contatto con altre realtà, migliorando anche la nostra salute. Il rapporto uomo-animale racchiude incredibili valenze che non possono che migliorare la vita dell’uno e dell’altro. Sempre più spesso le migliori medicine hanno quattro zampe e una coda.