Ucraina, l’inizio della tregua
Nell’Ucraina dell’Est il silenzio ha preso il posto del rumore delle armi da fuoco. A poche ore dall’inizio della tregua, le zone calde del territorio conteso tra il governo centrale e le fazioni filorusse sembrano respirare di nuovo una momentanea aria di pace
La città di Minsk, in Bielorussia, è stata palcoscenico teatrale di un’intera e fredda notte di vertice a quattro sulla crisi ucraina. La decisione partorita lo scorso 12 febbraio è entrata effettivamente in vigore dalla mezzanotte di sabato 14 febbraio. Il cessate il fuoco in Ucraina sembra, per ora, resistere alle pressioni nazionalistiche, ideologiche e di forte sfida tra i due protagonisti diplomatici dai poteri manipolanti: Mosca e Kiev.
Con gli accordi di Minsk il presidente russo Vladimir Putin, la cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente ucraino Petro Poroshenko e il francese François Hollande hanno scritto nero su bianco una serie di compromessi finalizzati a mettere fine ad una guerra civile degenerata ed allarmante. Nel documento si prevede anche l’avvio di una riforma costituzionale entro il 2015, come bruscamente richiesto dall’ala separatista, così da dare un senso amministrativo ad alcuni distretti delle regioni di Donetsk e Lugansk.
Con lo scoccare della mezzanotte di sabato 14, tra le strade dell’est Ucraina, una nebbia di silenzio ha preso dunque il sopravvento, dopo che, per giorni e fino alle ultime ore a disposizione sfruttate per dare sfogo ai cannoni, i rispettivi fronti hanno combattuto sul campo. L’offensiva separatista ha spinto ossessionatamente per la conquista del territorio di Debaltsevo, quel ramo ferroviario fondamentale per il collegamento dei centri nevralgici di Lugansk e Donetsk da tempo sotto il controllo dei filorussi. Le forze ucraine hanno denunciato per giorni l’aumentare delle vittime per mano dei combattenti separatisti mentre la voce del Cremlino continua ad auspicare un totale rispetto dei patti stabiliti a Minsk.
La preoccupazione russa è dettata principalmente alle ultime minaccianti parole espresse a scandite lettere dall’Occidente in generale e dagli Stati Uniti nel particolare. Barack Obama ha dichiarato nelle ore prima dell’accordo in Bielorussia tra Ucraina, Osce, Russia e ribelli, la possibilità e la volontà di aggravare ulteriormente il già poco digeribile stato sanzionatorio a danno di Mosca, come conseguenza all’eventuale ostinato sostegno militare di Putin alle forze separatiste – supposizione concreta, questa, ancora mai confermata ed ammessa dal governo russo.
Nonostante il generale gesto di resa delle armi, alcuni episodi di tensione si sono verificati proprio su quella strategica zona di Debaltsevo, lo stesso portavoce militare ucraino Vladyslav Seleznyov ha definito “accettabile” la tregua in atto ma ha comunque segnalato localizzati colpi filorussi proprio in quell’area di collegamento tra le città bandiera separatiste. Dello stesso monito, è anche la posizione espressa dall’Osce; gli osservatori dell’organizzazione sarebbero stati fermati dai ribelli contrari al loro accesso in quella fascia di terra contesa, un compito finalizzato a monitorare la situazione nel nodo ferroviario che collega Lugansk e Donetsk.
Il ruolo svolto dai Paesi mediatori, Francia e Germania, sembra aver ottenuto l’obiettivo prefissato; sciogliere qualsiasi matassa di fuoco e scintilla di guerra oltreconfine. Le ore trascorse sono ancora decisamente troppo poche per poter tirare respiri di sollievo. Lo scontro civile e militare è soltanto riflesso di altre contese di ampia portata politica e di interessi economici su aree rivendicate dall’Ucraina europea e dalla vecchia madre Russia.