50 sfumature di insoddisfazione
“50 sfumature di grigio” è arrivato sugli schermi italiani. L’adattamento cinematografico del libro di E.L.James delude, ma consegna alle donne uno specchio delle loro incoerenze
Ore 20.30 di un tranquillo giovedì pre San Valentino. Un paio di amiche convincono ad andare a vedere queste “50 Sfumature di grigio” con loro, una sorta di serata al femminile per divertirci e ocheggiare un po’ insieme. Ogni tanto serve anche a noi argute femministe tutte d’un pezzo. Ma il momento gossip viene beceramente interrotto da una sfilata infinita di esemplari femminili di ogni genere.
Ciò che infatti colpisce particolarmente è l’eterogeneità delle donne in sala. Giovanissime adolescenti, neo trentenni, sfrontate cinquantenni e qualche signora over 60. Sono tutte in trepidante attesa. La percepisci nell’aria carica di aspettativa, eccitata al pensiero di quello che (forse) sta per essere proiettato, incuriosita oltre ogni descrizione. Partono le prime immagini e via tutte a trattenere il respiro nell’attesa di vedere finalmente comparire lui, Mr. Grey ovvero uno statuario Jamie Dornan (“Ma non è come Christian!” Bisbiglia qualcuna in sala, beh benvenuta nel club “Noi lettori delusi dagli adattamenti cinematografici”) sia per fisico che per espressività.
Il film sarebbe potuto scivolare sereno tra dialoghi inesistenti, scene di sesso tanto sbandierate (per moltissimi una pessima caricatura del BDSM) ed emozioni la cui profondità è pari a quella di qualche soap opera del primo pomeriggio. Unica nota positiva una colonna sonora che contiene piccole perle di Beyoncé. Magnifica infatti la sua auto rendition di Crazy in love, di The Weekend, Sia e una magistrale Annie Lennox con una cover di “I put a spell on you”.
Ero pronta a stroncarlo, gridare all’indignazione finta femminista, stigmatizzarlo con una critica feroce e impietosa… e invece no. È un dovere morale vedere “50 sfumature di grigio” perché permette di ridere, ma ridere di gusto. E non parlo del film in sé, anche se il pathos (?) viene smorzato da simpatici siparietti, complice l’ingenuità della protagonista che sembra quasi uscita da un collegio femminile rimasto intrappolato nel secolo scorso.
Parlo di questo pubblico beato nel quale sono miracolosamente incappata. Un pubblico che mi ha regalato due momenti accompagnati da applausi a scena aperta. Roba che in tanti anni di critica teatrale non avevo quasi mai assistito.
Noi donne ci alteriamo costantemente quando un uomo ci apostrofa come “esseri incoerenti”. È un modo tipicamente maschile per etichettare le nostre paturnie, i contrasti d’opinione e i cambiamenti d’azione. E nella loro incapacità di comprenderci fino in fondo, decidono di percorrere la strada più giusta. Non chiedere il perché ma semplicemente giustificarlo dando un nome a quello stato d’animo: incoerenza.
Ho creduto per tanto tempo che si trattasse di un’analisi precipitosa. Le donne le ho sempre difese. Poi mi ritrovo in una sala gremita di “compagne” che applaudono senza sosta un uomo che alterna un corteggiamento romantico e inesistente nella vita di tutti i giorni (mi sono rassegnata all’idea che uscirò per sempre con la mia macchina e continuerò ad inveire per trovare parcheggio, cambiare le Converse con il tacco aggressivo e risistemarmi il trucco. Però si… è bello sognare) a frasi che sono già entrate di diritto nelle foto cult da condividere su Facebook: “Io non faccio l’amore, io scopo…forte”. Mi chiedo se forse non ci sia un fondo di verità nell’opinione maschile nei nostri confronti.
Quello che lascia perplesse e diverte allo stesso tempo è sapere che quelle stesse donne che applaudono a frasi del genere, sono le stesse che chiamano disperate le amiche una domenica sera. Distrutte perché “per lui era solo sesso”. Ecco, esattamente a te, donna con pantalone seconda pelle, rossetto rosso mat e tacco 12, età compresa tra i 35 e i 45, ecco, proprio a te perché piace ora qui su questo grande schermo una frase di una bassezza del genere?
Ma la stessa domanda potrei farla alle mie coetanee qualche fila dopo la mia, che più che per un cinema sembrano pronte per una serata in discoteca e accompagnano le scene hot con urletti vari. O alle liceali che hanno trascinato ignari compagni di scuola che giustamente sghignazzano per buona parte della proiezione.
Da un film del genere emerge tutta la complessità dell’animo femminile. Fondamentalmente diviso tra quello spirito romantico che tanti cartoni Disney ci hanno inculcato a furia di principi azzurri e lieto fine e la curiosità verso situazioni più borderline. Razionalmente inaccettabili per moltissime donne, ma sulle quali è facile fantasticare almeno una volta o due.
E questo poteva comprenderlo bene solo un’altra donna, in questo caso E.L.James, che partendo da una fan-fiction ispirata ad un altro cult della cultura pop (Twilight per i meno avvezzi) ha sfornato un best sellers da 100 milioni di copie vendute in tutto il mondo.
Donne forse insoddisfatte della propria vita sessuale, che hanno riversato quelle fantasie nelle pagine di un romanzo e un film che in fondo di perverso ha poco rispetto alle aspettative iniziali. Il fenomeno 50 sfumature perciò lo si deve anche a un problema di base, che oggi accomuna moltissime coppie. Una sorta di incomunicabilità che esiste tra due partner che non riescono ad essere totalmente sinceri sui loro desideri (sessuali e non).
La comunicazione è alla base di ogni relazione sociale. Ipotizzare di trovare un compagno che riesca a leggerti nel pensiero, sempre e comunque, è una favola utopica dove al contrario quelle della Disney hanno basi ben più concrete. L’unica vera grande verità da accettare è che nessuno riuscirà a cogliere quella “sfumatura” nei nostri occhi, quello sguardo volutamente criptico dietro il quale ci trinciamo pensando “se davvero ci tiene capirà anche senza parole”. Questo vale anche nell’ambito sessuale della relazione.
Nanni Moretti lo aveva già preannunciato (seppur con ben altro significato) e non c’era bisogno di 50 sfumature di grigio per capirlo. Le parole sono importanti ed è solo chiedendo a chiare lettere che si potrà avere una risposta. Da non confondere però con le “safe words” importanti anche loro ma in ben altro modo.
Poi ovvio nell’ambito descritto dal libro/film subentra l’aspetto taboo del sesso vissuto in maniera più anticonvenzionale. Sono convinta però che la maggior parte di quelle che hanno apprezzato Christian legare Ana, siano le stesse che scapperebbero inorridite davanti a proposte del genere. O forse no. Ma la domanda è: l’avete mai provato a chiedere al vostro uomo?
C’è sempre una sorta di riservatezza che accompagna la vita sessuale di una donna, almeno nei confronti del proprio partner. Lo dimostrano moltissimi studi, i quali concordano tutti sulla difficoltà di una donna di raggiungere l’orgasmo. Secondo uno studio del 2008 del celebre Istituto Kinsey, circa il 30% delle donne non riescono a provare un orgasmo nel corso del rapporto sessuale. Un dato che viene confermato da uno studio, questa volta molto più recente, dell’Istituto francese IFOP e che ha riscontrato come due terzi delle intervistate sia ricorsa più volte alla simulazione.
L’incapacità di moltissime donne nel raggiungere l’apice del piacere è la più conosciuta tra le patologie che rientrano nella sfera delle disfunzioni sessuali femminili. Un aspetto ancora oggi poco studiato dalla medicina, che al contrario si è largamente dedicata a quelle maschili. Anche in questo ambito l’uguaglianza è ancora un miraggio lontano.
E uno dei risultati sono milioni di donne che sublimano il loro inappagamento divorando trilogie che non hanno neanche il pregio di essere un prodotto, sintatticamente parlando, di qualità. O peggio. Donne che vorrebbero ma non possono per una sorta di timidezza culturale che ci avvolge e che quindi si accontentano sognando e leggendo le (dis)avventure di questa Anastasia Steele, che per una sorta di contrappasso smania per una storia meno fuori dai canoni.
Ed è un circolo vizioso dal quale difficilmente si riesce ad uscire.
O più semplicemente come mi ha spiegato la barista del bar vicino al cinema, quello descritto nel libro dovrebbe essere un percorso di crescita e di scoperta che tutte le coppie, che decidono di restare insieme, dovrebbero intraprendere. E se ciò non accade? “Beh, semplice, non è quello giusto”. Semplice, chiara e diretta.