Randagismo, da piaga sociale a business criminale
In Italia ci sono circa 600mila cani randagi. Una piaga sociale che, nonostante una normativa di riferimento all’avanguardia, non accenna a diminuire. Dietro quest’emergenza c’è poi chi sacrifica il benessere degli animali assoggettandolo alle logiche del profitto
Secondo le stime del Ministero della Salute in Italia ci sono circa 600mila cani randagi, di cui un terzo ospitati in canili. Dopo l’inchiesta de “la Repubblica” sulla lobby del randagismo, torna a far discutere ed indignare l’emergenza degli animali liberi sul territorio del nostro Paese.
Il rapporto Eurispes 2014 fotografa un’Italia animalista: “Quattro italiani su dieci ha un animale domestico, di questi il 53,7% vive con un cane e il 45,8% con un gatto“. A fronte dunque di circa 10 milioni di animali accolti nelle nostre case, a migliaia sono però quelli abbandonati al loro destino per strada. L’80% di questi animali finisce investito, avvelenato, maltrattato o muore di stenti. Solo i più “fortunati” finiscono reclusi a vita in canili e rifugi.
Ma a oltre 20 anni dall’entrata in vigore della legge quadro 281/91 a prevenzione e tutela del randagismo, la situazione non accenna a regredire. Dal 1991 l’Italia ha una legislazione considerata in tutta Europa tra le più evolute e all’avanguardia in tema di tutela degli animali. Il provvedimento ha infatti introdotto nel nostro Paese il divieto di soppressione dei cani, ha imposto ai Comuni (in qualità di referenti sia come autorità locali sia come responsabili del controllo) di finanziare il mantenimento dei randagi nei canili e ha stabilito la sterilizzazione delle femmine È prevista inoltre l’istituzione di un fondo, presso il Ministero della Sanità, che viene distribuito annualmente tra le Regioni e le Province autonome, per la tutela del benessere e per la lotta all’abbandono degli animali da compagnia.
Il nostro codice penale per di più vieta e punisce il maltrattamento di animali, la loro uccisione, l’abbandono e la detenzione incompatibile con le caratteristiche etologiche. L’art. 727 del Codice penale, in particolare, prevede il reato di abbandono, punito con l’arresto fino a un anno o con una ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Nonostante ciò il randagismo continua ad alimentarsi e assume contorni sempre più allarmanti.
Uno studio svela che “da una cagna abbandonata possono nascere, in sei anni, 67mila cuccioli“. Un numero enorme e inquietante, un problema che troverebbe la soluzione nella corretta applicazione della legge che prevede la sterilizzazione degli animali. La normativa così evoluta è, nello stesso modo, tra le più disattese: né Comuni né Asl l’hanno applicata. Si preferisce, infatti, creare centinaia di canili non certificati, in cui gli animali, il più delle volte, sono esposti a sofferenze e violenze, in nome della logica del profitto.
Sfruttando dunque la totale inerzia e incapacità delle Amministrazioni locali nel gestire l’emergenza randagismo e nel trovare soluzioni che tengano conto del benessere animale, molti imprenditori privati hanno costruito la loro fortuna grazie a convenzioni milionarie con le stesse Amministrazioni. Con l’aggiudicazione della gestione dei canili si arriva ad ottenere un contributo giornaliero che va dai tre euro ai sette euro per ciascun cane. Un vero e proprio affare criminale, che frutta almeno 500 milioni di euro l’anno (stime del rapporto Zoomafia della Lav, la Lega Anti Vivisezione).
“Un vero e proprio business quello del randagismo, che coinvolge trafficanti e malavitosi, Amministrazioni locali compiacenti, convenzioni milionarie spesso aggiudicate con gare d’appalto al ribasso d’asta, alle quali corrispondono strutture fatiscenti, veri e propri lager dove è impedito l’accesso a chiunque e da dove i cani non usciranno mai”. È quanto si legge sul “Manuale contro i crimini zoomafiosi“ di Ciro Federico Troiano, responsabile dell’Osservatorio Nazionale Zoomafia Lav. “Animali detenuti in strutture sovraffollate, prive delle condizioni igienico-sanitarie necessarie; animali malnutriti, senza alcuna assistenza veterinaria, vittime di ogni sorta di maltrattamento”, si legge nel testo.
Il degrado attraversa tutta l’Italia, il randagismo continua, da Nord a Sud, a essere alimentato da politiche inadeguate, omissive e spesso speculative. “La lotta al randagismo passa attraverso la sterilizzazione anche degli animali domestici e l’adozione consapevole” sostiene Gianluca Felicetti, presidente della Lav.
Significativa ed emblematica la situazione del territorio romano dove la criminalità organizzata aveva tentato di mettere le mani sulla gestione dei canili comunali di Roma partecipando, con la Cooperativa 29 Giugno, alla gara d’appalto indetta dal Comune per l’anno 2015. “Le cooperative legate a Mafia Capitale hanno partecipato alla gara per la gestione dei canili comunali di Roma, certo non per dare benessere agli animali e servizi ai cittadini“, afferma Simona Novi, presidente dell’A.V.C.P.P. (Associazione Volontari Canile Porta Portese).
La Onlus no profit A.V.C.P.P., che dal 1997 nella Capitale gestisce i canili comunali di Muratella, Rifugio Ponte Marconi ex Cinodromo e Rifugio Vitinia ex Poverello risponde con fatti e dati alla mano al problema randagismo: “Nel 2014 sono entrati nel canile di ingresso di Roma Muratella 2.060 animali di cui 1.313 cani. Di questi, 1.207 sono usciti tra adozioni, affidi e ricongiungimenti con le famiglie che li avevano smarriti. Se a questi 1.207 cani usciti si sommano anche i 138 decessi che purtroppo si sono registrati (a causa delle condizioni critiche in entrata, di malattie terminali o in ragione della tarda età) si evince che sono stati 1.345 i cani che non hanno occupato le gabbie dei canili comunali di Roma, superando di ben 32 unità il punto di pareggio tra le entrate e le uscite di animali“.
Simona Novi sottolinea che “siamo molto soddisfatti del lavoro svolto. Il nostro obiettivo è stato raggiunto e siamo stati efficaci per il benessere dei cani – che devono avere nei canili comunali solo un punto di stabilizzazione e passaggio – ed efficienti per il nostro committente, Roma Capitale. Questa è la dimostrazione – prosegue la presidente dell’A.V.C.P.P. – di come possa ben funzionare il modello pubblico di accoglienza degli animali, soprattutto quando gestito da associazioni di volontariato animalista esperte che hanno come unico ed esclusivo scopo la stabilizzazione degli animali e la loro pronta uscita dalle gabbie verso una adozione consapevole e certificata“.
La totale assenza di una politica per la salvaguardia e il benessere animale coinvolge ancor di più le regioni del Sud Italia, dove le Amministrazioni sono totalmente assenti davanti all’allarmante fenomeno del randagismo e dove le organizzazioni criminali si interessano sempre più a questo business. Il territorio calabrese insieme a quello siciliano e pugliese è tra i più devastati da questa piaga dilagante e vergognosa, resa ancor più inquietante dalle ingerenze delle organizzazioni mafiose.
A denunciarlo è l’AIDAA (Associazione Italiana Difesa Animali e Ambiente) a seguito di un’inchiesta durata tre anni e conclusasi con la denuncia di 82 canili gestiti direttamente o indirettamente dalla malavita. Nelle strutture erano presenti 35.000 cani rispetto ad una capienza consentita inferiore ai 20.000. Lorenzo Croce, presidente nazionale di AIDAA, ha spiegato che la criminalità usa i canili come “centro di business clandestino, infatti oltre ad introitare soldi puliti dai comuni per il mantenimento dei cani, il vero giro di affari loschi sta nella vendita dei cani verso i Paesi del nord Europa ai fini della vivisezione e nei cani ospitati nei canili usati spesso anche nei combattimenti clandestini, fenomeni questi ultimi che fanno lievitare i guadagni della malavita organizzata a cifre superiori ai 100 milioni di euro l’anno“.
Per tamponare dunque l’emergenza randagismo associazioni animaliste e privati cittadini sono, il più delle volte, costretti a gestire da soli e con dispendio di proprie forze e denaro il problema degli animali liberi sul territorio. Sul suolo calabrese e, in particolare, nella città di Catanzaro, l’Associazione no profit Anima Randagia ha avviato, in collaborazione con canili comunali della zona, il progetto “Apriamo quelle gabbie” al fine di incentivare adozioni consapevoli dei cani reclusi, di sensibilizzare il più possibile la comunità svuotando le strutture sovraffollate. Un progetto ambizioso che sta già portando i primi frutti.
Gandhi sosteneva che “la grandezza di una nazione e il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui tratta gli animali”. Se nel nostro Belpaese le Amministrazioni locali applicassero la legge e supportassero il lavoro delle associazioni di volontariato, il problema del randagismo sarebbe più contenuto e i primi a beneficiarne sarebbero i cittadini e solo dopo i cani. Le città ne acquisterebbero in civiltà, dignità, onore e sensibilità.
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