Operamolla, fisiopatologia del vivere contemporaneo
La compagnia teatrale DoppioSenso Unico con Operamolla mette in scena un Allegro Chirurgo dell’anima che regala al pubblico, divertendolo, una profonda riflessione sul senso di vivere
Ivan Talarico e Luca Ruocco, formidabile duo della compagnia teatrale DoppioSenso Unico, hanno conquistato il pubblico del Teatro dell’Orologio con la loro usuale comicità ricercata, il gusto per l’assurdo, la parodia, i giochi di parole e l’apparente nonsense del capovolgimento semantico, armi ben rodate e sfoderate anche nel loro ultimo lavoro: Operamolla, che affronta e indaga il tabù dei tabù della società contemporanea, la morte e i suoi prodromi, le malattie, aspetti naturali dell’esistenza umana che sono stati confinati in spazi disciplinati e dedicati per sterilizzare la nostra quotidianità dalla loro inquietante ma ineluttabile presenza.
Sulla scena ci sono due fratelli intenti a vegliarne un terzo presumibilmente morto.
A turno i due fratelli provano a morire, lasciando al sopravvissuto il divertimento di constatare l’effettivo decesso. Come? La procedura è semplice: si possono dare dei calci alla colonna vertebrale per constatare la presenza di riflessi, oppure tastare il polso per controllare la presenza del battito cardiaco o fare delle domande in un momento inaspettato per cogliere in contropiede la salma e verificare se possiede ancora un’attività cerebrale, il tutto tra promesse di morte imminente e sconfortanti constatazioni di una perdurante vitalità.
A supporto del difficile cammino a cui i due sono chiamati, tra una non-vita e una non-morte, tutto serve, anche il conforto di quello che trascende e infatti essi sono in filo diretto con una manciata di santi, ma le vie del Signore sono imperscrutabili e le preghiere servono di più a sollevare chi le recita e forse ad allontanare l’onere della cura, di provarci a guarire e a guarirsi.
Quando uno dei due fratelli muore per davvero, la finzione scenica investe lo spettatore, che viene chiamato a diventare protagonista dell’opera. Tra il pubblico vengono scelte tre persone per ricomporre la salma, che viene poi portata fuori dal teatro in un corteo funebre a cui prendono parte tutti gli spettatori, che si ritrovano a vegliare e ad elogiare il defunto deposto sulla piazzetta vicino al teatro, dove vi rimarrà mentre tutti gli altri rientrano in teatro.
Si ha giusto il tempo di riprendere posto, che irrompe in sala il fratello morto ed evidentemente risorto e a questo punto lo spettacolo prende un tono differente e l’attenzione si dirige sulle malattie proprie della nostra società, che sono quelle dell’anima.
C’è il cinico fisiologico, il sollevatore di morale, il masticatore di pensieri e il tumorato di Dio. Malattie delle quali tutti possiamo essere vittima e infatti gli attori consegnano ad alcuni spettatori dei cartelli-malattia da indossare, per poi invitarli a turno sulla scena per offrirgli una terapia col supporto di tutti i presenti. Si scandagliano così le afflizioni che ci tormentano in questa epoca dove se per morire ci vuole coraggio, ce ne vuole molto di più per vivere anziché vegetare.
Sullo sfondo c’è il cammello, con le sue gobbe a simboleggiare quell’appesantimento esistenziale che ci fa arrancare. Ma quando il cammello si sottopone al trattamento che gli impone di fermarsi e di bere ogni volta che un paziente viene guarito, ecco che riesce a sbarazzarsi di un po’ della zavorra che gli pesa sulla schiena. Certamente l’empatia può essere un altro strumento per guarire dalle proprie malattie, soprattutto da quelle dell’ego.
Tutta la messa in scena è intervallata da brevi apparizioni di due corvi dalle risposte lapidarie, che sono introdotti dalla celebre Marcia funebre per una marionetta di Gounod, tema musicale caro ad Hitchock. Siamo tutti marionette in balia del caso o forse di noi stessi?
Toccante scoprire a fine serata che l’opera prende il titolo dal cognome di un signore diventato amico dei due interpreti e poi figurante dei loro spettacoli, il signore Felice, che messo di fronte alla scoperta di un male feroce decise di fare finta di niente.