Chiudono gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. E i pazienti?
La chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari è ormai ufficiale. Dopo numerosi rinvii e proroghe, il 31 marzo gli OPG saranno dismessi definitivamente. Tuttavia è allarme per la mancanza di misure alternative. Dove finiranno i pazienti?
La terribile realtà degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari ha ormai i giorni contati. La chiusura definitiva è infatti prevista per il prossimo 31 marzo. È quanto deciso dal decreto-legge n. 52 del 31 marzo 2014, convertito con la Legge n. 81 del 30 maggio 2014. Dopo numerosi rinvii gli OPG chiudono i battenti e con essi quel mondo oscuro tenuto celato per troppo tempo, così come vi abbiamo già raccontato in passato (febbraio 2013, aprile 2013, marzo 2014).
L’Italia inizia a discutere della necessità di istituire i manicomi criminali alla fine dell’Ottocento. La nascita di queste strutture ha pertanto origini antiche, sono difatti introdotte dal Codice Penale del 1930 (Codice Rocco). Il ricovero fu riservato all’autore di reato infermo di mente, considerato socialmente pericoloso. È l’art. 222 che disciplinò la categoria prevedendo obbligatoriamente e in via automatica la misura di sicurezza del ricovero a tempo indeterminato in manicomio giudiziario, mentre per i soggetti semi infermi di mente l’assegnazione in casa di cura e custodia.
Il manicomio giudiziario fu chiamato a svolgere, fin dalla sua introduzione, una duplice funzione: curare e custodire. Il malato di mente fu considerato intrinsecamente pericoloso, per questo la società doveva provvedere a difendersi e a difendere il malato da sé stesso. Nel periodo manicomiale i malati erano costretti a vivere in strutture in cui subivano ogni genere di violenza: dall’elettroshock forzato, all’assenza di diritti, alla tutela e confisca dei beni.
Nel 1975, dopo decenni di dibattiti parlamentari, è finalmente varata la riforma penitenziaria. La Legge n. 354 del 1975 modifica la dicitura da “manicomio” a “Ospedale Psichiatrico Giudiziario“. L’intento fu di indirizzare l’istituzione in una dimensione più spiccatamente terapeutica e tutelare il diritto costituzionalmente garantito alla salute. Nascono quindi le basi per la costruzione di un nuovo modello di assistenza psichiatrica, in cui il malato non dovesse essere preso in considerazione per la sua pericolosità o per lo scandalo delle sue condotte, bensì per il suo bisogno di assistenza.
Nel corso di quegli anni gli OPG divengono oggetto di numerosi dibattiti e proposte di riforma. Considerati come strutture segreganti e senza alcuna funzione riabilitativa, richiedevano una profonda revisione e un diverso approccio alla questione della salute mentale. Inizia così un lungo processo di riorganizzazione della normativa in materia di assistenza psichiatrica che culmina con l’approvazione della Legge n. 180 del 1978, nota ai più come Legge Basaglia, dal nome dello psichiatra che la pensò.
La Legge Basaglia impose la chiusura dei manicomi e disciplinò il trattamento sanitario obbligatorio, istituendo i servizi d’igiene mentale pubblici. Il provvedimento pose le basi per un nuovo approccio terapeutico alla malattia mentale, un metodo che” privilegia l’intervento capillare e territoriale e limita il trattamento ospedaliero”.
In principio erano dunque manicomi criminali, furono chiamati poi ospedali psichiatrici giudiziari, le strutture di ricovero cambiano nome ma restano praticamente intatte nella loro concezione. La situazione dunque all’indomani della legge Basaglia vedeva la sopravvivenza di strutture che conservavano le caratteristiche sia del manicomio sia della prigione.
Nonostante l’emanazione di numerosi decreti e leggi, gli OPG rimangono oggi una terribile realtà. L’Europa li ha definiti luoghi inumani e degradanti, tuttavia in Italia continuano a esisterne sei e ospitano attualmente circa 700 persone. Gli ingressi e le uscite ogni anno sono circa 600.
Un’inchiesta parlamentare del 2011 all’interno degli OPG portò alla luce una realtà fatta di maltrattamenti, abusi e mancanza di cure, accertando situazioni al limite della violazione dei diritti umani. Da qui l’intenzione di chiuderli definitivamente.
Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha confermato la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari prevista per il prossimo 31 marzo, senza ulteriori proroghe. La scelta è stata ribadita anche dal sottosegretario Vito De Filippo, presidente dell’Organismo di coordinamento per il superamento degli OPG.
Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari cesseranno di esistere e, al loro posto, la legge prevede l’istituzione delle REMS (Residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza) con l’obbligo per le ASL di presa in carico del paziente all’interno di progetti terapeutico-riabilitativi individuali che assicurino il diritto alle cure e al reinserimento sociale, oltre a misure di sicurezza alternative al ricovero.
Gli addetti ai lavori restano però fortemente scettici. Le Regioni non hanno ancora definito le misure alternative, nè organizzato l’accoglienza di questi malati. Ci si domanda, dunque, dove finiranno i pazienti? “Nella migliore delle ipotesi le regioni sono in ritardo, nella peggiore non si vedrà nulla per anni“, dice Michele Miravalle dell’Associazione Antigone, “a pochi giorni dall’ora X, di REMS, in Italia, non si vede l’ombra”.
La legge dunque vuole la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, quello che la comunità dovrebbe auspicare è innanzitutto un diverso approccio alla questione della malattia mentale. Gli “ergastoli bianchi“ alla fine del mese diventeranno “matti da slegare“.