Reddito minimo, Boeri: “Affrontare il problema povertà”

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Tito Boeri, nuovo presidente dell’Inps, lancia una proposta sul reddito minimo: utilizzare meglio le risorse pubbliche e garantire un assegno mensile a chi vive in povertà

di Guglielmo Sano

nojob-230pxIl problema dell’Italia oggi è quello della povertà”. È stato chiaro Tito Boeri in occasione dell’apertura, venerdì scorso, del Forum sulle politiche sociali del Comune di Milano. “La Grande Recessione – ha sottolineato l’economista e nuovo Presidente dell’Inpsche nel nostro paese è stata peggiore della grande depressione del ‘29”, ha determinato “un tremendo aumento della povertà”. Per cui le disuguaglianze rimangono forti ma, in realtà, “la crisi non le ha aumentate perché i redditi sono calati sia per la parte alta che per la parte bassa delle retribuzioni”.

Il governo deve intervenire. Come? Bisogna assicurare un assegno a chi non raggiunge un minimo introito mensile. In tal modo si potrebbe garantire la tutela delle “situazioni non protette” e, quindi, “affrontare l’aumento della povertà che, in questi anni di crisi, ha colpito le fasce d’età prima del pensionamento”.

Nella lettera in cui saluta i dipendenti Inps, pubblicati il 2 Marzo sul sito dell’ente, Boeri ha ribadito il concetto: “la rete di protezione sociale in Italia ha ancora maglie troppo larghe. Il forte incremento dell’incidenza della povertà negli ultimi sette anni soprattutto fra i più giovani ne è la testimonianza”.

Per proteggere le fasce più vulnerabili, i giovani “su cui si è inizialmente concentrato tutto il rischio di perdere il lavoro in carriere lavorative troppo brevi per essere coperte dagli ammortizzatori sociali oggi esistenti”, non basterà riformare la previdenza. Adesso è necessario promuovere “interventi per ampliare la rete di assistenza sociale pubblica”. Lo scoglio da superare sarebbe sempre lo stesso, cioè trovare le coperture.

Il 4 Marzo Beppe Grillo, intervistato da Emanuele Buzzi del Corriere della Sera, ha rilanciato la proposta del M5S sul “reddito di cittadinanza”, recentemente approdata in Commissione Lavoro: “È destinato a chi perde il lavoro, a chi non lo raggiunge. Sono 780 euro al mese, ma varia a secondo del numero dei componenti familiari. Penso a una coppia con figli, lei casalinga: gli si potrà garantire 1.200-1.300 euro. Nel frattempo chi ne usufruisce segue un percorso con lo Stato. Gli si offrono due-tre lavori, se non li accetta, perde il reddito.

E per le coperture?” – ha chiesto prontamente Buzzi – “i soldi li troviamo. Spendiamo 45 miliardi per gli armamenti, 20 per la formazione professionale. Poi c’è il gioco d’azzardo e le persone che hanno 2-3 milioni di euro di reddito. Se gli prendi lo 0,5-l’1% a questo scopo non credo siano contrari. Discuteremo anche con la Cei” ha risposto Grillo.

La proposta di legge del M5S, a conti fatti, non parla di un “reddito di cittadinanza” (ovvero un sussidio universale su base nazionale che si dà a tutti i nati di un’area geografica) ma di un “reddito minimo garantito” visto che consisterebbe nel dare un “sostegno al reddito per tutti i soggetti residenti sul territorio nazionale che hanno un reddito inferiore alla soglia di povertà”.

Quest’ultima, dice sempre la legge, “è il valore convenzionale calcolato dall’ISTAT che individua il valore di spesa per consumi al di sotto del quale una famiglia anche composta da un singolo soggetto, viene definita povera in termini relativi ossia in rapporto al livello economico medio di vita dell’ambiente o della nazione”.

Nel novembre 2013, quando venne depositata, proprio Tito Boeri, su Lavoce.info, parlò di problemi di equità nella proposta del M5S: per esempio le soglie di reddito sono definite in termini netti invece che lordi, e questo può costituire una sottovalutazione della posizione patrimoniale dell’individuo. In pratica, una famiglia che guadagna poco al mese ma è intestataria di tante case potrebbe usufruire del reddito minimo.

Boeri all’epoca contestò anche l’elevato costo dello schema “a cinque stelle” circa quattro volte più costoso del “sostegno di inclusione attiva” (SIA) proposto da SEL. Quest’ultima, d’altra parte, “creando disuguaglianze tra gli stessi beneficiari” venne bollata di “pressappochismo nel valutare i complessi meccanismi che occorre mettere a punto per attuare una misura di integrazione del reddito che sia non solo economicamente sostenibile” da Chiara Saraceno, sempre su Lavoce.info.

Naturalmente, critiche approfondite si potrebbero estendere alle modalità con cui le varie proposte intendono trovare le coperture. Quest’ultimo fattore, insieme alle difficoltà insite nel reperimento di un sistema che stabilisca dei criteri “equi” per la sua applicazione, rendono quella del “reddito minimo garantito” una bella proposta destinata ancora a lungo a scontrarsi con la realtà. Tuttavia, nella Comunità Europea a 28, l’ultima a dotarsi di tale strumento è stata l’Ungheria, nel 2009. Solo Italia e Grecia non hanno ancora provveduto a riformare i propri strumenti di lotta all’indigenza.

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