Ebola, il lento ritorno alla normalità

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Terminata la fase di emergenza, nei Paesi dell’Africa occidentale colpiti dall’epidemia di ebola si riprende a vivere tra i timori per una nuova diffusione della malattia e le sfide per il futuro

di Elisa Di Benedetto

ebolaIn Guinea e in Liberia si torna lentamente alla normalità. La riapertura delle scuole è il segnale più evidente della vita che ricomincia dopo l’epidemia di ebola che, secondo i dati forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha provocato 9.700 decessi e circa 23.900 casi di contagio da dicembre 2013. Come in Guinea, anche in Liberia nei giorni scorsi i bambini sono tornati sui banchi, dopo otto mesi di chiusura forzata voluta dal governo per contrastare l’epidemia.

Alcune scuole sono ancora chiuse, in attesa di adeguarsi ai requisiti previsti dal governo per impedire la trasmissione della malattia. Nelle scuole che hanno ripreso l’attività, gli insegnanti e il personale sono stati istruiti per individuare eventuali sintomi sospetti, e le strutture sono state dotate del necessario per il controllo dell’infezione e per l’igiene: il sapone per lavarsi le mani, gli strumenti per la disinfezione delle aule, i termometri. Alle misure adottate nelle scuole, spesso insufficienti per carenza di risorse, si aggiungono le istruzioni date ai genitori e agli alunni, a cui è stato raccomandato di non scambiarsi il cibo né le matite.

Nonostante i casi di ebola siano diminuiti, resta il timore di una nuova diffusione e alcuni genitori preferiscono aspettare fino a quando la malattia sarà dichiarata ufficialmente debellata o almeno 42 giorni dopo l’ultimo caso, che corrisponde al doppio del tempo massimo per l’incubazione. Altri genitori, in difficoltà dal punto di vista economico, sono costretti ad aspettare perché hanno bisogno di tempo per trovare le risorse per mandare i figli a scuola. La rinascita economica è una delle grandi sfide che il Paese si trova ad affrontare, come ha evidenziato la settimana scorsa a Bruxelles la Presidente Ellen Johnson Sirleaf, chiedendo alla comunità internazionale un Piano Marshall per sostenere la ripresa nei Paesi devastati dal virus.

In Sierra Leone, dove la riapertura delle scuole è prevista per la fine di marzo, continua il programma di istruzione alla radio, che permette agli studenti di continuare a studiare. Il programma, avviato dal governo con la collaborazione di diverse organizzazioni che operano nel Paese, tra cui Unicef, consiste nella trasmissione di vere e proprie lezioni attraverso le 41 stazioni radio e in televisione. Le lezioni proseguiranno anche una volta ripresa l’attività scolastica.

Le conseguenze dell’epidemia si riflettono anche sul sistema sanitario, soprattutto per donne e bambini. Come racconta la giornalista americana Erika Check Hayden nei suoi reportage dalla Sierra Leone per il Pulitzer Center on Crisis Reporting, nei Paesi colpiti non ci sarebbero sopravvissuti tra i bambini nati da donne infette e la gravidanza rende le donne particolarmente vulnerabili agli effetti della malattia. A ciò, si aggiungono i rischi per il personale sanitario al momento del parto. Questo insieme di fattori avrebbe portato alcuni medici e infermieri al rifiuto di curare pazienti incinte, per il timore di infezioni. La paura e i racconti di donne a cui sono state negate le cure hanno spinto molte donne a interrompere le visite prenatali e a non rivolgersi ai medici per l’assistenza al parto.

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