Gli Zen Circus e il loro “indie operaio”
Con una serata organizzata da MarteLive, insieme alle band “Morgan con la i” e “Nadàr Solo”, i pisani Zen Circus sono tornati a Roma prima di una lunga pausa dedicata ai progetti solisti
Nella notte del 6 Marzo gli Zen Circus hanno provvisoriamente salutato Roma per un lungo periodo che li vedrà assenti dai palchi (almeno tutti insieme) per oltre un anno e mezzo. Con Il Nulla Tour i tre pisani si concedono infatti una pausa per la lavorazione dei secondi dischi del batterista Karim Qqru con La Notte dei Lunghi Coltelli e del frontman Andrea Appino, dopo l’elogiato esordio solista Il Testamento.
Al Planet di Testaccio hanno passato così in rassegna pezzi diversi della loro carriera, o perlomeno, dell’ultima fase discografica in italiano, compresa la title track del tour, Il Nulla, descritta ufficialmente come “un piccolo vademecum ironico (ed autoironico) su come scrivere il testo di una canzone indipendente oggi”. Passando per Andate tutti affanculo, Nati per subire, ma anche i “vecchi” Vita e opinioni di Nello Scarpellini e Villa Inferno e naturalmente l’ultimo Canzoni contro la natura, ripropongono i brani più significativi di quella che è diventata una vera e propria marca musicale, che se da una parte ha contribuito alla nascita e crescita del cosiddetto genere indie, allo stesso tempo se ne tira fuori sconsacrandolo con ironia e audacia, insieme a quel velo di amarezza caratteristico che si nasconde sotto la patina folle e fancazzista del trio.
Al cinismo più bieco e posato, tipo quello da cantautorato.
Dall’anima essenzialmente punk, gli Zen Circus nella loro tarda produzione canzonano, in tutti i sensi, la musica italiana passata e presente, pasticciandola e ribaltandola, alleggerendola di spirito con umorismo quasi demenziale e avvicinamenti al folk e appensatendola con la sfrontatezza di un linguaggio diretto e suoni duri e aspri.
In realtà gli Zen hanno una grande conoscenza e ammirazione dei grandi cantautori italiani, e si sente: De Andrè fa spesso capolino, non solo citato direttamente nei testi delle canzoni, ma anche nei ritmi veloci delle filastrocche popolari come L’anarchico e il generale. O di Dalla, per fare un altro esempio, è presente l’elaborazione creativa delle storie personali, immerse in un contesto politico e sociale ben preciso. Ma più in generale, il cantautorato viene smascherato delle sue ipocrisie e fissazioni, e trasformato in un divertissment senza freni inibitori né giri di parole.
Non a caso, durante la serata romana viene nominato un altro loro simile, Freak Antoni degli Skiantos, che della demenzialità, e del punk rock d’avanguardia ne hanno fatto unica bandiera, in occasione del brano Nel paese che sembra una scarpa, omaggio all’artista scomparso nel 2014.
Tutti sono artisti ed in fabbrica nessuno.
Sotto la scorza caciarona e sarcastica, nei testi del Circo Zen si riflette una coscienza generazionale e sociale profondamente radicata, forse ormai disillusa, che racconta dolori e manie della dimenticata classe operaia italiana e dei suoi figli, “vecchi senza esperienza”. La droga e i vizi, l’apatia, il qualunquismo, il lavoro e la disoccupazione, anche l’immigrazione nella folle Canzone di Natale, sono temi portanti dei brani circusiani, raccontati attraverso piccole storie universali e particolari che costituiscono la vera Italia di oggi. Non è sbagliato dire che si tratti di un genere musicale altamente satirico; bene si intreccia, infatti, con l’intrusione a metà spettacolo di Lercio, telegiornale flash costruito con gli articoli del celebre sito umoristico.
Anche questa volta, gli Zen Circus fanno sentire l’esperienza ventennale che hanno sui palchi riuscendo a costruire uno spettacolo senza pecche con la genuinità, la franchezza e l’originalità che li contraddistingue. Per loro sembra un gioco da ragazzi: per questo siamo sicuri che ritorneranno; al palco sembrano appartenere. Nel frattempo, se ne sentirà decisamente la mancanza.