“Piena di niente”, il diritto ad un aborto felice
Edito da BeccoGiallo, “Piena di niente” è il secondo capitolo della Trilogia della Violenza scritto da Alessia Di Giovanni e dalla disegnatrice Darkam. Nella graphic novel il racconto del travaglio verso l’aborto fra obiettori di coscienza, burocrazia e pregiudizi
Quattro donne, quattro storie l’una diversa dall’altra ma tutte accomunate da un desiderio: l’aborto. Tema ancora tabù nella nostra arretrata Italia vede uno spiraglio di luce nella graphic novel Piena di niente, sceneggiata dalla scrittrice e giornalista Alessia Di Giovanni, disegnata da Darkam ed edita da BeccoGiallo.
Secondo capitolo della Trilogia della Violenza cominciata con il fumetto Io sono Carmela, che narrava della vera storia di una ragazzina di 14 anni abusata e rinchiusa in un centro di recupero perchè mai creduta. “In Piena di Niente la violenza ha un’altra forma, più sottile e ipocrita, esercitata con la complicità dello Stato. È la violenza degli obiettori di coscienza che, avendo raggiunto una percentuale dell’80% negli ospedali, impediscono di fatto alle donne di esercitare il loro diritto a un aborto felice. Volevamo raccontare le conseguenze sulla carne delle donne di certe scelte ‘ideologiche’ da parte di chi pensa di essere sempre dalla parte della ragione“.
“Piena di niente” si è rivelato un libro dalla natura pedagogica, proprio come se fosse un testo di scuola che leggi e “studi”. Non ha certamente la pretesa di insegnare ma alla fine ti insegna. Sarà perché ti immedesimi in Elisa, Monica, Giulia e Loveth che hanno raccontato alla scrittrice le loro vite e il loro complicato percorso verso l’aborto, o il linguaggio diretto, o ancora le immagini a fumetto crude che spazzano via l’immaginazione.
L’incontro virtuale con Alessia Di Giovanni si rivela pedagogico tanto quanto il suo libro: “Quando scrivo divento i personaggi, quindi entro in una complessità di animi tale che mi è difficile schematizzare ciò che provo per loro. Invece io e Darkam, la disegnatrice, volevamo restituire la loro complessità, il legame non razionale che queste donne hanno con il loro corpo, parlare di aborto, ma spingerci anche oltre, raccontare la maternità forzata, di come spesso si usano i figli per manipolare gli altri, di come esista tutto un sistema culturale e di valori che esclude il sesso dalle nostre vite generando anomalie – vedi l’episodio del prete che abusa della prostituta che dovrebbe aiutare – e che convince le donne a essere madri e in coppia per forza anziché seguire altre strade. E a sentirsi in colpa se fanno scelte diverse“.
Seppur senza nessun tono accusatorio, la Chiesa e i suoi principi vengono messi in discussione così come il ruolo della famiglia e della scuola, istituzioni in caduta libera. È evidente che ognuna di loro ha responsabilità nell’attuale e crescente arretratezza culturale che viviamo; “questi tre ambiti compresa anche la cultura sono vasi comunicanti. Nel fumetto racconto di un fatto realmente accaduto a Torino nel 2013, un corso per obiettori finanziato dalla regione Piemonte. Con i nostri soldi abbiamo pagato un corso per formare persone affinché non ci forniscano un servizio, quello dell’aborto, obbligatorio per legge (legge 194). Ma non solo. Gli attivisti pro-life in alcuni ospedali hanno libero accesso ai reparti Ivg. Nel libro tre di loro svegliano Monica che ha appena fatto l’Ivg chiamandola “assassina”, mettendola metaforicamente e visivamente in croce. Dicendo che soffrirà della “sindrome da post aborto”, sindrome che è una loro invenzione fantastica degna di American Horror Story, visto non è mai stata provata scientificamente“.
A proposito di scuola, c’è da considerare che l’educazione sessuale non è ancora obbligatoria come, invece, nel resto d’Europa. Sembra quasi si preferisca l’ignoranza e, quindi, il rischio di un aborto invece della conoscenza.
Come sottolinea la scrittrice, “in Olanda l’educazione sessuale comincia a 4 anni, in Francia alle elementari, in Danimarca alle medie. Infatti in quei paesi il numero di aborti è minore rispetto all’Italia. Lisa, l’adolescente bisessuale e la più giovane delle quattro protagoniste di “Piena di niente“, usa l’aborto come metodo contraccettivo perché non ha educazione sessuale. Al suo ragazzo non piace il preservativo e la coinvolge nel sesso di gruppo, così lei va nei casini perchè è “ignorante” in materia. Nessuno le ha dato gli strumenti per gestire la situazione. Ma non si tratta solo di informare sulla contraccezione, va insegnato un nuovo modo di concepire il corpo oltre alla pura anatomia, bisognerebbe riappropriarcene tutti, insegnare che il ciclo, il seme, la vagina, il pene, i rapporti orali, il piacere e il dolore fanno parte di noi, che siamo anche quello. Che il sesso è un diritto come gli altri e per questo dobbiamo essere informati di cosa possiamo farne“.
Una delle protagoniste, Giulia, 33 anni, dice: “Ma mai dire ti amo è come dire di avere l’HIV. Nessuno vuole essere contagiato“. Abbiamo davvero questa paura dell’amore che ci ha portato ad una vuotezza interiore da riempire con il sesso, spesso abusato soprattutto tra le ragazzine? “Penso che l’amore sia qualcosa in cui affondare, fisicamente e psicologicamente, al 100% e questo implica fare una scelta, rinunciare alle altre possibilità e alternative. Siamo malati di infinito. Scegliere una cosa, una persona significa prenderci la responsabilità di quella scelta, investire nell’altro e in noi stessi. E questo sconvolge ancora di più dell’amore stesso“.
L’autrice conclude il libro con un curioso e spiritoso gioco, ideato da lei stessa basandosi sul gioco dell’oca e su quello che potrebbe essere il percorso di una donna incinta e delle difficoltà che può incontrare. Mi ha fatto sorridere e immaginare a quanto potrebbe essere utile nelle scuole. Per chi come me è cresciuta con una nonna e una madre devote alla scuola, di cui soprattutto l’ultima ne è attualmente ancora una portavoce e che mi racconta costantemente dei cambiamenti generazionali, il libro fortifica il quadro preoccupante dei nuovi adolescenti ma anche dell’ambiente in cui vivono e crescono.
Ho fantasticato di vederlo sui banchi di scuola perché, come sosteneva in precedenza Alessia Di Giovanni, il sesso fa parte della vita e non bisogna averne paura. Una speranza, la mia, condivisa dalla scrittrice che afferma: “Mi sono molto divertita a scrivere ‘Aborto, il gioco da tavolo’. È una specie di gioco dell’oca che parte con “inutile che continui a fare pipì sul bastoncino, sei incinta!” e finisce con il traguardo “evvai, hai abortito!” e sfida i giocatori ad arrivare alla fine tra i mille ostacoli della burocrazia made in Italy, tra pro-life fissati, professori che alla domanda sul sesso rispondono con la storia delle cicogne e Adinolfi travestiti da infermiera che tenta di sabotare l’Ivg. L’intento è di scherzare su quello che è considerato un tabù e tentare di normalizzarlo. Per giocarci basta un dado ed è per chiunque. Per gli studenti delle scuole è raccomandato, ragazzi e ragazzi, ma anche per gli adulti, per chi non sa dov’è il clitoride“.